Scavi Palombara – 2014 – Alla ricerca delle origini
Una serie di sporadici rinvenimenti di materiali prodotti nell’età del Bronzo (3’500 a.C. – 1’200 a.C. ) e dispersi tra l’ambiente interno della grotta Zinzulusa e l’altopiano dell’attuale Centro Storico di Castro passando per il pianoro della Palombara hanno portato sempre più a considerare la frequentazione di questo territorio affacciato sul mare Adriatico non casuale ma prodotto da un vero e proprio insediamento stabile ed organizzato, non più ricoverato all’interno delle grotte naturali ma finalmente all’aperto in villaggi comunitari in capanne parzialmente o completamente in legno. L’uso delle grotte o di anfratti naturali, infatti, è già ridotto a frequentazioni sporadiche (stazioni) fin dall’età della pietra e in questo periodo protostorico si è affermato definitivamente l’uomo che costruisce sistemi urbani strutturati.
La frequentazione di questo tratto di costa salentina, affacciato sul mare, ricco di acque dolciastre all’interno delle grotte costiere e di un particolare profilo corografico può dirsi ampiamente dimostrata, pur con qualche intervallo temporale, dal periodo paleolitico (Uomo di Neanderthal nella Grotta Romanelli) fino all’uomo moderno dei giorni nostri.
Sfuggono per ora le prove di alcuni intervalli sia per lo scarso impegno nella ricerca finora condotta sia per la ridotta evidenza che i materiali o i segni di una frequentazione preistorica lasciano sul terreno.
Limitandoci alla fase protostorica, vale a dire quel periodo temporale che parte dalla prima età del bronzo (3’500 a.C.) fino all’età del ferro (1’200 a.C.), che nel Mediterraneo orientale si stima abbia avuto inizio attorno al XII secolo a.C., i rinvenimenti sono sempre stati occasionali frutto di attività non direttamente connesse alla ricerca archeologica o palentologica.
Negli anni ’50, ad esempio, in occasione dei lavori per consentire l’accesso da terra alla grotta Zinzulusa furono rinvenuti nel tratto iniziale monete in bronzo, due scuri in bronzo del tipo “ad occhio” da riferirsi alla fase media del Bronzo ( (XV-XIV sec. a.C.). Molto materiale fu gettato direttamente in mare. Nel 1972 in occasione dell’esplorazione del laghetto La Conca furono rinvenuti undici vasi da riferirsi a un particolare periodo del neo-eneolotico pugliese, una fase ancora più antica, dell’età del Rame che gli studiosi chiamano appunto facies Zinzulusa.
I materiali rinvenuti e sopravvissuti sono stati oggetto di un recente studio le cui conclusioni sono riportate in una pubblicazione a cura del Museo Civico di Paleontologia e Paletnologia di Maglie a cura di Sabrina ROSSETTI e Medica Assunta ORLANDO. La frequentazione della grotta è comunque dimostrata da numerosi reperti per un arco temporale più ampio a partire dal Paleolitico Medio fino all’Età del Bronzo.
C’è da dire a infamia della scienza palentologica e dei tanti professoroni che si sono affaccendati nello studio delle grotte costiere salentine che poco o nulla hanno saputo conservare dei materiali da loro scavati, disperdendoli in collezioni private, regali ad amici e laboratori sconosciuti. Le orde dei turisti che dal 1956 visitano la grotta ininterrottamente non avrebbero saputo fare di peggio.
Di più recente, nel marzo del 2003, lungo la litoranea per Santa Cesarea in prossimità dell’imbocco del viottolo della Palombara, vennero ritrovati i resti quasi completi di alcuni vasi datati alla seconda parte dell’età del bronzo da parte del Dott. Luigi COLUCCIA, che ne curò il rilievo e il recupero. Erano ancora conservati nel loro strato di terra nonostante al di sopra fosse passata la litoranea salentina.
Compressi tra gli interstizi di terra furono estratti i cocci quasi completi di tre vasi ad impasto. Per quanto lo scavo fosse una sola sezione verticale che si dovette richiudere con una certa solerzia per via del Giro d’Italia, si poterono leggere anche i segni di una possibile buca da palo. I due elementi nello stesso posto hanno sempre indotto a pensare come posto a brevissima distanza il centro della comunità che poi ha disperso il resto delle ceramica su tutto il tratto di costa e che ha probabilmente lasciato le due asce votive nella grotta della Zinzulusa, il cui accesso è da pensare in quel periodo piuttosto impervio e già poco frequentato.
La dispersione di materiale protostorico, sicuramente più antico dell’XI secolo a.C., è riassunta nella seguente planimetria che raccoglie le conoscenze del Dott. COLUCCIA sia di origine documentale sia per osservazioni fatte da lui stesso nel corso degli anni.
Nel breve saggio qui scaricabile, il Dott. COLUCCIA riporta le osservazioni su una dispersione di materiali da rifersi alla fase finale del Bronzo anche su tutto il pianoro fertile che si sviluppa da Punta Mucurune ad almeno il viottolo che porta alla Grotta Palombara.
Grazie a un importante finanziamento comunitario indirizzato alla valorizzazione delle risorse culturali (POin 2013) da pochi giorni sono iniziati i lavori di scavo specificatamente ed organicamente condotti solo per la ricerca archeologica. Non più quindi occasionali osservazioni in occasione di aperture di cavi per linee elettriche o reti di fognatura ma uno specifico progetto per esplorare con calma i terreni ricadenti in quella fascia costiera a maggior probabilità di frequentazione stanziale.
La scelta progettuale è ricaduta su un fondo privato, oggi acquisito dal Comune di Castro, che per posizione e conformazione lascia intuire le maggiori probabilità di successo.
Il fondo rustico, in attesa di altri toponini più specifici (per alcuni il fondo si chiamerebbe “Annunziata”) lo abbiamo denominato Palombara. E’ un’area di 2’900 mq su due livelli con uno strato di terreno fertile sicuramente di riporto.
Non c’è dubbio che lo spazio di indagine sia ben collegato per la fase messapica e quelle successive alla presenza del centro fortificato superiore. Alcuni indizi fanno pensare a una fortificazione dell’area anche in fase messapica e già dai primi strati emergono ceramiche di periodo medievale analoghe a quelle in corso di rinvenimento nel cantiere già avviato da alcuni anni in località Capanne nel Centro Storico.
Col passsare dei secoli e lo sviluppo del centro ellenistico superiore e in particolare con la fortifcazione della stessa acropoli superiore, le aree in questione si sono ridotte a nuova destinazione per campi di coltivazione e probabilmente ricaricate di buona terra fertile.
Il fondo interessato dall’indagine è stato negli anni ’30 attraversato dalla litoranea salentina e la relativa porzione occupata dalla strada è stata scarificata e abbassata di quota. Questo ha permesso di riconoscere la presenza della ceramica nel ritrovamento del marzo del 2003 ma tuttavia ha intercettato e distrutto strati e strutture di epoca protostoriche come quelle che cominciano ad affiorare all’interno del fondo di indagine.
Contrariamente, difatti, alle aspettative fondate sulle osservazioni condotte durante il ritrovamente del 2003 sotto la sede stradale, in particolare sul lato nord (saggio n.2), già a pochi centimentri sono affiorate delle interessanti sistemazioni in pietra calcarea, cementata con argilla pura (bolo) tra i cui interstizi si rinviene solo ceramica di impasto. E’ da pensare che lo sbancamento per realizzare la litoranea abbia asportato non solo terreno da coltivo ma anche parte di questi ammassi, la cui funzione è ancora da definire.
La ceramica detta impasto, ben riconoscibile a un occhio esperto, data in modo abbastanza certo lo strato archeologico che la contiene. E’ una ceramica ottenuta da argille non ben depurate, cotta in ambiente riducente (forno di cottura privo di ossigeno) e realizzate a mano ancora senza l’uso del tornio.
Negli strati superiori la presenza di ceramica analoga a quella del cantiere in corso in località Capanne ci conferma che lo strato di terreno agricolo non è di epoca più remota ma probabilmente dello stesso periodo medievale (‘400).
Sono previsti circa 250 mq di scavi per indagine e le operazioni si concluderanno entro il mese del marzo 2015. Le indagini sono condotte da Luigi COLUCCIA, già conoscitore dei luoghi.
Le indagini ci dovrebbero permettere di stabilire l’esistenza di un effettivo passaggio dell’uomo dalla grotta al villaggio costruito e se queste due fasi si sono sviluppate con in una certa continuità dall’abbandono dei ricoveri naturali a quelli dei ricoveri realizzati dall’uomo. Il tutto in rapporto ai continui mutamenti del livello del mare che potevano rendere più o meno proficuo, ad intervalli più o meno lunghi, l’uso delle grotte costiere salentine.
Per quanto riguarda invece l’habitat delle grotte, il Dott. Salvatore BIANCO, della Soprintendenza Archeologica del nucleo di Lecce, incaricato della sorveglianza degli scavi della Palombara, ha già ufficiosamente anticipato che per la prossima estate si riapriranno gli storici scavi della Grotta Romanelli, con l’intento di riprendere le vecchie sezioni di scavo e riesaminare i materiali rinvenuti con le nuove tecnologie di indagine scientifica che in molti casi (Grotta del Cavallo nella Baia di Uluzzo di Porto Selvaggio) hanno rivoluzionato, con esiti sorprendenti, le sedimentate verità del passato.
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