La Stalla Domestica 1/3




Un contributo su tre parti di prossima pubblicazione su carta
La stalla domestica
L’esteso affioramento di roccia tenera nella penisola salentina ha caratterizzato in ogni aspetto la valenza ambientale e culturale del nostro territorio. Dove questo affioramento è risultato proficuo si sono avviate attività estrattive e formazioni di ambienti ipogei finalizzati al supporto dell’attività edilizia e alla creazione di ambienti di diversa destinazione. Cave di tufo, cisterne, grotte, frantoi, cantine, cripte, la dove il banco della tenera calcarenite lo ha permesso, l’attività di estrazione e scavo si è sempre sviluppata. Nell’areale di riferimento l’ampia presenza di queste diverse consistenze di calcareniti salentine hanno concorso ad evolvere, secolo dopo secolo l’attività urbanistica adattando l’ambiente costruito alle specifiche esigenze di una popolazione principalmente dipendente dall’attività agricola.
Senza trascurare l’utilizzo puramente artistico di alcune varietà di pietra come quella della pietra leccese, il concorso della risorsa offerta da una roccia facilmente cavabile l’uomo l’ha tradotta immancabilmente in termini pratici. Se serve, per esempio, un ambiente in cui produrre olio di oliva che abbia contemporaneamente un’ampia sala per la vasca di macinatura, un adeguato soffitto per contenere la spinta dei torchi e soprattutto conservi in inverno una temperatura che eviti la condensazione dell’olio il frantoio ipogeo scavato nella roccia è stata la risposta fino a buona parte del secolo scorso per la grande produzione di olio pugliese.
Nella edilizia privata la presenza della calcarenite affiorante ha consentito la realizzazione di ambienti diversamente utilizzati nei piani interrati e seminterrati, spesso interamente cavati nella roccia ad eccezione della parti voltate di copertura fatte in muratura. Se il banco roccioso era di buona qualità permetteva l’estrazione di conci da utilizzare nella costruzione dei piani superiori e comunque l’efficace costruzione di cisterne di riserva per acqua potabile che fino al completamento della rete dell’Acquedotto Pugliese a tutto il Salento era condizione sine qua non per la sopravvivenza di uomini e animali.
Accanto alla sporadica presenza di falde freatiche superficiali, spesso comunitarie dove si sono fondati i tanti piccoli centri salentini, la ulteriore riserva di acqua raccolta durante gli eventi meteorici dimensionava e limitava sia le esigenze domestiche, sia quelle di allevamento che di produzione agricola.
La tipologia di tre stalle rilevate nel Comune di Ortelle sono tre esempi di integrazione tra le diverse esigenze di una comunità che vive di piccola agricoltura e che dimensiona il suo costruito secondo l’estensione dei propri campi.
Oltre che a dare ricovero, la casa deve consentire la conservazione degli alimenti per le stagioni di scarsa produzione (lavorazione, essicazione, stoccaggio), il mantenimento degli animali allevati (depositi di foraggio, abbeveratoi, lettiere, trasformazione dei prodotti come latte e formaggio), la produzione minima di ortaggi (ortali di prossimità). La preparazione e la cottura degli alimenti esclusivamente fatta sul focolare con ramaglie e legna per esempio impone un ambiente specifico e separato, il numero dei familiari pretende uno sfruttamento estremo degli spazi, quasi sempre viene sacrificata la presenza di un servizio igienico ben collegato all’abitazione.
L’ambiente dedicato alla stalla per quanto in connessione con la struttura principale resta perfettamente definito e quasi autonomo eccezion fatta per la cisterna comune. A differenza di alcune tipologie di stalla del centro e nord Italia la presenza di volte in muratura impedisce lo sfruttamento termico della stalla sottostante verso l’abitazione.
I tre casi esaminati partono dalla dimensione di una azienda agricola che può permettersi di allevare in casa uno o due bovini fino ad una azienda che dispone di campi di produzione di foraggio per massimo sei o sette capi di grossa dimensione.
Accanto a queste stalle domestiche ubicate nei piani seminterrati dell’abitazione del contadino o del piccolo massaro dedicate principalmente allo stazionamento fisso di animali di allevamento sono comunque presenti stalle sempre fuori terra ad uso più professionale per specifiche esigenze come l’aratura (paricchi) e il trasporto (trainieri) o per il tiro di carrozza dove si aveva la necessità di movimentare l’animale da lavoro quotidianamente. Questa edilizia si riconosce per avere sul prospetto stradale un discreto varco carraio su cortile, sotto un sipporto o direttamente al vano di ricovero interno.
Il primo caso è una piccola abitazione di inizio novecento a schiera con uno schema della stalla seminterrata che ricopia fedelmente le strutture superiori con l’unica eccezione dell’assenza di un divisorio interno per avere un vano più ampio a servizio dei capi stabulati. Quanto l’esigenza dell’allevamento abbia condizionato la distribuzione architettonica dell’abitazione e viceversa non sappiamo dirlo, sicuramente si è raggiunto un equilibrio tra abitazione, allevamento e dimensionamento aziendale che come tipologia è spesso riscontrabile in altre costruzioni.
Nello spaccato della figura n.1 è facile leggere la stratificazione di funzioni a cui la costruzione deve assolvere, dalla cisterna alla quota più bassa fino ai locali accessori terminali sulle coperture (suppina). L’acqua delle coperture è raccolta nella cisterna che presenta una doppia comoda possibilità di emungimento sia a livello di cantina che di abitazione.

L’accesso degli animali al piano seminterrato è sempre diretto sulla strada mediante una scala più o meno comoda che evidenzia chiaramente la dimensione massima dell’animale ospitato e la frequenza di entrata e uscita. Se i piccoli animali ovini e caprini possono sempre accedere allo stallo le dimensioni del varco e il numero di gradini chiarisce la dimensione massima dell’animale ricoverato. Un cavallo da lavoro da tirare fuori ogni mattina forse no, un piccolo asino e un mulo forse si. Un bovino che viene allevato da piccolo e uscirà da adulto dalla cantina dipende.
L’ambiente ha sempre dei riscontri d’aria ricavati dove è possibile. L’accesso allo scoperto posteriore spesso non dispone di serramento restando sempre aperto, sul fronte stradale una apertura può agevolare l’insilaggio di paglia e foraggio direttamente dalla strada. Le deiezioni liquide e solide sono conservate verso il posteriore dell’animale stallato, in un angolo si ricava uno spazio per la paglia pulita.

Un’azienda agricola di questo livello dispone già di almeno due ettari di terreno coltivabile e in uno di questi campi è già presente un essiccatoio per conservare il grosso della paglia per le lettiere e dei foraggi. Non è raro trovare accanto a questi fienili un ricovero per un piccolo traino (traìnu) e una stalletta scoperta che spiegano che comunque quel contadino dispone di almeno un carro trainato per la movimentazione delle paglie e dei letami a servizio della stalla sotto casa.
Una caratteristica comune della stalla ipogea è la possibilità di ricavare mangiatoie che vanno oltre la proiezione della superficie del pavimento e consentono di accorciare lo spazio di stallo per almeno la lunghezza del collo dell’animale. La tipologia della mangiatoia viene differenziata per altezza e qualità dei materiali. Una vasca in pietra leccese perfettamente stagna è riservata agli animali a cui è necessario fornire impasti o che rifiutano una scarsa pulizia. Alcuni stalli per animali di grossa taglia possono comunque scambiarsi ma alcuni accorgimenti sono comunque specifici.
Lo stallo per l’animale ferrato, come un cavallo da lavoro per esempio, è sempre basolato in pietra dura mentre il resto della stalla resta allo stato naturale protetto da uno strato ormai impastato di ogni sostanza. Non era raro che anche i bovini da lavoro fossero scarpettati. In qualche punto opportuno una nicchia per una lanterna ad olio per le emergenze notturne come il parto di una mucca.
Il secondo esempio manifesta probabilmente in maniera più chiara una eredità culturale che viene dal passato rispetto all’anno di costruzione della stalla. E’ sempre il padre che avvia la struttura abitativa del figlio e spesso le soluzioni adottate, oltre che dal lotto del terreno, sono condizionate dalla previsione dello stile di vita sperimentato dalle generazioni precedenti.
La costruzione è dichiarata al Catasto negli ultimi anni della seconda guerra mondiale ed è ubicata sulla via Roma che dalla sua costruzione ottocentesca ha poi polarizzato lo sviluppo urbano di Ortelle. Sono terreni che presentano storiche presenze di ovili (Curti) che probabilmente utilizzano la servitù di pascolo dei vicini Campi San Vito. Anche la masseria Cazzato (della Pietà) dispone di stalli aperti per ovini e in fondo a vico Mameli fino agli anni cinquanta era ancora presente l’ovile di Giorgio Micello. Non molto distante è sopravvissuto l’ovile dei Rizzelli sulla salita di via Calaturu.

In questo esempio è forse riscontrabile una eredità generazionale di massari e allevatori che si muovono dal settecento fino all’ottocento dalle masserie di Cerfignano fino ad Ortelle e realizzano una stalla domestica sotto casa per animali di grossa taglia ma dotandola ancora di un piccolo ricovero per ovini che beneficia di uno scoperto posteriore per lo stallo all’aperto.
Una ampia vasca in pietra leccese vicina alla cisterna dimostra la necessità abbeverare i numeri capi di ovini contemporaneamente senza uso di secchi. L’interferenza tra i capi è risolta con piccoli muretti divisori e alcuni pali in legno opportunamente fissati La stalla è realizzata insieme a quella simmetrica del fratello con la costruzione di una unica cisterna comune. E’ difficile pensare che una consistenza di animali di questa dimensione si potesse condurre senza l’ausilio della plastica, della lamiera zincata, del ferro saldato, della illuminazione elettrica, del caglio comprato in farmacia, dei frigoriferi. Si aggiunga la scarsa conoscenza delle patologie animali, il controllo delle epidemie con le vaccinazioni e l’assenza di ogni tipo di farmaco per uso veterinario dei secoli scorsi per intuire la durezza della vita quotidiana per la cura degli animali.
Il terzo esempio riporta la stalla domestica di un massaro che dispone di terreni sufficienti ad allevare capi bovini per almeno sei esemplari.

Oltre alla produzione di capi da latte anche bovini da ingrasso per macello. L’abitazione superiore denuncia una certa agiatezza familiare e alla abitazione formata da tre vani principali al piano rialzato corrispondono tre vani con almeno sei mangiatoie per bovini e due per equini. La disponibilità di un ampio scoperto ha spostato le funzioni di ricovero dei foraggi e della paglia fuori dalla stalla così come pure la gestione delle deiezioni. L’accesso allo scoperto posteriore, più comodo, diviene quello principale con la possibilità di stallare di giorno gli animali sull’ampia aria di pertinenza.
La dimensione di questo ultimo esempio rappresenta il massimo della potenzialità della stalla sotto casa nella realtà ortellese e forse di buona parte della provincia leccese almeno nelle aree caratterizzate da estrema particellizzazione dei fondi.
Come raffronto immediato, Masseria Capriglia in agro di Ortelle che ammonta 83 ettari di buona terra ha una dotazione nel 1918 perfettamente conosciuta per via di un contratto di affitto firmato tra la proprietaria Donna Maria Zunica contessa di Nardò e il colono Salvatore Merola di Cerfignano.
Il Merola subentra al vecchio tenutario Filippo Guglielmo che gli consegna dettagliatamente: “a) Animali bovini di giusta età ed atti al lavoro, per il valore di lire seicentotrentasette e centesimi 50; b) Sessanta pecore di corpo, delle quali trentasei di ottima qualità, e ventiquattro recettili, cioè non cieche, non zoppe e ne mancanti di denti – c) Tre montoni di buona qualità – d) Quattro capre di buona qualità – e) Grano ettolitri tredici e litri ottantanove pari a tomola venticinque – f) Orzo ettolitri ventidue pari a tomola 40 – g) Avena tomola trentacinque misura colma, pari a ettolitri ventidue misura rasa – h) Fave tomoli sei, pari ad ettolitri tre e litri trentatre – i) Lupini tomola cinque pari ad ettolitri due e litri settantotto = Tutti i detti generi di buona qualità e per uso di semenza – j) Paglia di grano, immessa nella pagliera per la lunghezza di palmi sedici pari a metri quattro e centimetri 22, e per l’altezza di palmi undici, pari a metri due e centimetri 90, a taglio perpendicolare, e paglia di orzo nella pagliera palmi sette e di lunghezza pari a metro uno e centimetri 14, e palmi undici di altezza pari a metri due e centimetri 90, anche a taglio perpendicolare, come da segni esistenti ad uno dei muri del capannone – k) Una carretta in ordine del valore un tempo di lire centosessantotto e centesimi 50, ma che ora per i rincari di tutti i generi vale molto di più – l) Tre aratri coi rispettivi gioghi buoni e servibili – m) Due vomeri di ferro del peso di chilogrammi undici sani e servibili – n) Una madia, per la ricotta salata in buono stato, ma senza serratura – o) Un caccavo di rame rosso del peso di chilogrammi sei e grammi 460 – p) Otto mangiatoie nella masseria; cinque pile ed un pilone vicino al pozzo, e due altre pile vicino alla cisterna della masseria.
Il raffronto tra le piccole stalle urbane e la dotazione di Masseria Capriglia evidenzia la scala delle economie agricole in gioco. Da una parte un vero massaro che dimora permanentemente con tutta la famiglia nel feu assegnato, si occupa di ulivi, vigneti, pascoli, seminativi, campi di cotone e tabacco, dall’altra il contadino, il bracciante o il piccolo massaro che la notte dimora in paese e si tiene in casa la piccola dote allevata.
Le tipologie esaminate, sviluppatesi con l’incremento demografico del settecento, si erano perfezionate nei decenni fino a diventare dei veri e propri prototipi edilizi. Nonostante i ricorrenti tentativi artificiosi dei vari governi di risollevare dalla povertà l’areale adriatico salentino come pure i radicali spontanei cambiamenti colturali (dal vino all’olio e poi viceversa con l’arrivo della fillossera in Francia, l’impianto di ficheti per la distillazione, la piantumazione di gelsi per l’allevamento del baco da seta, i tentativi di coltivare il cotone e infine le varietà orientali di tabacco) il modello di stalla domestica resistette per buona parte del novecento in quanto sostenuto dalle piccole esigenze di allevamento e dal contributo comunque offerto dall’animale nei campi. Resistettero fino a che scomparve l’economia di fondo dell’autoproduzione e dello scambio e il crescente benessere emancipò buona parte delle popolazioni dall’autosostentamento. Le rimesse della emigrazione e della coltivazione del tabacco permisero l’estensione dei campi coltivati e una moderna motorizzazione agricola. Le stalle ipogee andarono scomparendo sia per l’introduzione delle struttura in cls armato con volte piane che portarono realizzare stalle a piano terreno più ampie e più comode e poi a partire dagli anni sessanta i mezzi meccanici sempre più potenti (ruspe, escavatori, compressori a mano) consentono lo scavo integrale dei volumi interrati delle nuove abitazioni che presentano ormai esclusivamente murature appositamente realizzate, gli allacciamenti delle abitazioni alla rete dell’acquedotto porta alla dismissione delle vecchie cisterne che gioco forza diventano le nuove fosse settiche per la disponibilità in casa di acqua corrente.
Non sono ancora arrivati gli anni dei regolamenti di igiene pubblica e dell’attività di prevenzione veterinaria che le vecchie stalle ormai risultano dismesse o ridotte a ospitare uno o due capi ovini la cui cura richiede notoriamente uno scarso impegno.
Tanti fattori ancora concorrono all’abbandono del tipo edilizio utilizzato per secoli, dal maggiore benessere alla motorizzazione di massa, la disponibilità di concimi industriali, alla elettrificazione delle campagne. I conci di tufo faticosamente cavati e squadrati a mano dai vecchi cavatori (zucari) sono economicamente perdenti rispetto ai conci segati con le macchine elettriche direttamente nelle cave.
In queste cantine in cui il contadino passava buona parte della giornata a governare, pulire e mungere restarono piccoli animali più da compagnia che da reale beneficio economico e infine oggi noi le vediamo ancora usate dai nipoti come apprezzate cantinette.
I pavimenti e i gradini consunti scavati nella roccia vengono rivestiti di ceramica, le pareti di roccia e le volte di muratura a vista spesso intonacate ma l’occhio attento ci può ancora cogliere la trama delle funzioni originarie per cui quell’ambiente era stato costruito.
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