Nascono dove vogliono
Nascono dove vogliono loro, e solo quando vogliono loro. Sono i Capperi, una pianta che ha aiutato la cucina povera a riempirsi di un po di sapore senza costare troppo. Si conservano nel sale rubato di contrabbandato sulle marine o nell’aceto, la rimanenza spuntata del vino delle annate passate. L’aceto si produceva in casa in pratica in ogni famiglia che avesse botti di vino in cantina, raccogliendo la parte di vino ormai imbevibile per essere rimasta troppo tempo in botti quasi vuote. Il vino spuntato andava in un piccolo bordolese dove la colonia di fermenti acetici sopravviveva per questi piccoli e continui apporti. Fare un buon aceto comunque non è cosa facile.
Con l’aceto si può cucinare senza cuocere, per semplice immersione nel suo liquido di un qualunque alimento. Dalla carne di pecora ancora conservata alla mia infanzia, alle cipolle, ai peperoni, e pure il nostro cappero. E’ un processo che prevede l’immersione dell’alimento in un conservante acido che poteva essere oltre che l’aceto anche il vino, la birra, l’olio, il succo di limone e tante altre spezie ed erbe vegetali. Nel linguaggio dei cuochi si chiama marinatura, nel nostro dialetto non ha termine, l’equivalente sol sale è la salamura (salamoia) e l’effetto è quello di macerare l’alimento ammorbidendolo o sfibrandolo. L’azione si può aiutare con una preliminare operazione di bollitura ma non sempre è indispensabile.
L’ambiente acido prodotto dall’aceto impedisce il metabolismo dei batteri della putrefazione e quindi favorisce la conservazione. Ricordiamo che la creazione di un ambiente ostile a certi batteri che degradano l’alimento si può ottenere anche con la salatura o privando l’alimento dell’acqua naturale (essicazione). Sotto aceto o sale o essiccato il prodotto è pure poco incline alla produzione delle tossine del botulino.
Il cappero dunque finisce sotto aceto o sotto sale come i peperoni, le cipolle, ecc.. secondo un criterio, credo, di pura economia di spesa per risparmiare sul volume del conservante. Tutto quello richiede grossi volumi di conservante, come la cipolla intera, va generalmente sotto aceto, quello che si può trattare con poco conservante sotto sale, come per esempio i peperoni affettati e schiacciati sotto peso in contenitori perfettamente cilindrici, quelli interi ovviamente in aceto.
Per anni il sale è stato un prodotto su cui i governi hanno imposto il monopolio di sfruttamento applicando dazi elevatissimi tant’è che era venduto per uso domestico fino a qualche decennio fa solo nelle rivendite dei Monopoli di Stato.
Sulla costa adriatica tra Otranto e Leuca la coltivazione di alcune saline a costo agevolato erano concesse già in periodo feudale a chi salava grosse quantità di pesce, per gli altri c’era solo la feroce caccia delle guardie addette alla vigilanza sul contrabbando.
La produzione di capperi salentini nella zona costiera di Racale viaggia ormai solo sotto sale ricavato dalle saline di Margherita di Savoia.
Detto questo il cappero continua a nascere solo dove gli pare e piace. I semi vecchi germinano poco, le piantine ottenute in vivaio protetto con la semina o con la talea, per quanto in salute, non hanno grandi percentuali di attecchimento nel posto che desideriamo, spesso un muro verticale o alcune crepe nella roccia. Nel trapianto in condizione di terreno orizzontale i successi del trapianto sono molto alti, mentre per vegetare un muro o un costone roccioso le cose si complicano.
Alcuni anni fa su dieci piantine da vivaio con la radice cresciuta in un lungo tubo di plastica l’attecchimento è stato di una sola piantina. Difficile gestire il costipamento del terreno dietro la radice, gestire le prime innaffiature, proteggere le foglioline dalle formiche. Per questo riprovo a riseminare sul posto nei fori praticati negli anni passati partendo da semi dell’annata in corso.
Il cappero, che nel nostro dialetto ha un nome proprio sia per la pianta che per il fiore, vale a dire chiapparata per la pianta e chiapparu (o chiapparinu) produce abbondanti semi di piccola dimensione, due millimetri al massimo. Maturando diventano marrone scuro quasi nero. Sono contenuti nel frutto del cappero, che nel nostro dialetto non ha nome e che i siciliani chiamano cucuncio, un piccolo cetriolo di alcuni centimetri di lunghezza prodotto dal fiore fecondato. Non tutti i fiori vanno a fecondazione, si possono trovare piante di cappero che da sole producono anche 4-5 chili di cucunci e altre con scarse impollinazioni.
Anche i frutti, i cucunci, prima di cominciare a maturare e schiudersi, vanno sotto sale o sotto aceto e ultimamente vanno di moda negli aperitivi più cool.
Il frutto matura in sequenza come la fioritura del cappero per tutta l’estate crescendo dalla impollinazione fino a che sulla sua superficie non si crea una lunga spaccatura lungitudinale. Da questo momento la capsula esterna ingiallisce e si secca e la gelatina interna biancastra che avvolge i semi degrada in una sostanza giallastra, viscida e collosa che attira gechi, lucertole e altri insetti di discrete dimensioni capaci di portare via i semini che li si appiccicano sul corpo durante la suzione di questa sostanza.
E’ probabilmente il sistema di disseminazione naturale adottato dalla pianta per riprodursi. Dopo la spettacolare ed effimera inflorescenza del fiore che attira alcune farfalle notturne, la produzione di questa sostanza zuccherina e la sua collosità dovrebbero essere i sistemi naturali per portare il seme del cappero nei nuovi punti di possibile attecchimento. Attaccati ai gechi o alle lucertole o anche trasportati dalle formiche o dal vento, arrivano nelle fessure dei muri, nelle spaccature delle rocce, e comunque dove sia possibile per il cappero sviluppare una lunga radice tuberosa senza ristagni d’acqua prolungati. Molto meglio se il substrato è di natura calcareo.
A questo meccanismo di trasporto, il cappero associa una forte dormienza del seme. La capsula (tegumento) che avvolge il singolo seme è piuttosto coriacea e produce una dormienza fisica che genera le scarse germinazioni che si ottengono in vivaio senza pretattamenti. E’ probabilmente un meccanismo per evitare germinazioni premature fuori da un contesto ottimale.
Sul cappero l’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente Dipartimento Prevenzione e Risanamento Ambientali nella sua guida circa la propagazione per seme di alberi e arbusti della flora mediterranea riporta la seguente scheda:
12.5.17. Capparis spinosa L. (Cappero)
(Capparidaceae)
Facoltà germinativa: 95%
Numero di semi per Kg: 80.000-160.000
Le bacche mature si raccolgono da luglio a settembre (in regioni più calde da maggio) e si fanno essiccare. Ogni pianta può produrre da 1 a 5 chili di frutti , a seconda dell’andamento stagionale. Si estraggono i semi, che, dopo un indispensabile lavaggi o , sono sottoposti ad essiccazione per la conservazione. I semi che hanno raggiunto la maturazione sono generalmente di colore marrone scuro mentre quelli immaturi mostrano tonalità più chiare.
In natura, la disseminazione avviene tramite formiche, lucertole ed uccelli.
I semi mostrano tegumenti impermeabili (dormienza fisica) che impediscono l’assorbimento d’acqua. Se si scarificano meccanicamente subito dopo la raccolta si registra una discreta percentuale di germinazione. Alcuni Autori ipotizzano che qualche altro tipo di dormienza si possa sviluppare in seguito alla disseminazione.
Viene suggerita la scarificazione, meccanica o chimica (con acido solforico per 15-30 minuti), a cui segue il lavaggio in acqua e l’immersione per 60-90 minuti in una soluzione di gibberelline (GA4+7, 100 ppm oppure GA3, 400 ppm). Applicando questa tecnica, nella quale le gibberelline hanno un effetto sinergico secondario rispetto all’aggressione dei tegumenti provocata dalla scarificazione, sono state raggiunte percentuali di germinazione superiori al 70%.
La scarificazione tramite l’immersione in acqua calda (da +55 a +85°C) si rivela generalmente inefficace.
La rimozione parziale o totale dei tegumenti effettuata a mano si traduce in percentuali di germinazione molto elevate, a dimostrazione del ruolo fondamentale che i tegumenti svolgono nei processi germinativi del cappero. Il pretrattamento sopra descritto, anche se non praticabile a livello vivaistico, suggerisce la strada da seguire per migliorare la germinabilità dei semi di questa specie.
La germinazione è favorita dall’alternanza di temperature, ma buoni risultati sono stati raggiunti anche con temperature costanti relativamente elevate (+25°C) e fotoperiodi di 12 ore.
Per altre specie della famiglia delle Capparidaceae viene suggerita l’incisione o abrasione dei tegumenti seminali a cui segue la germinazione in substrato imbibito in soluzione di nitrato di potassio al 0,2%.
Quando i semenzali sono di dimensioni adeguate alla manipolazione possono essere trapiantati in contenitori.
E’ possibile la propagazione vegetativa.
Quale siano gli altri tipi di dormienza che si manifestano dopo la disseminazione ipotizzati da alcuni Autori come riportato nella scheda dell ANPA non è dato conoscere.
Ambiente, fisica, chimica, ormoni, tante sono le ragioni ancora poco note che non spiegano perchè intorno a una pianta decennale non ci sia nessuna propagazione e invece in altri contesti in pochi anni siano infestati intere superfici anche in posizioni molto problematiche.
Tuttavia incurioscito da alcune letture che consigliano la semina direttamente nel posto definitivo del seme fresco a fine estate piuttosto che a febbrario-marzo dell’anno dopo di quello conservato, specie nelle zone senza inverno gelido come la nostra, mi sono messo a reperire un po di semi freschi di cappero maturi. Quelli conservati si possono acquistare tranquillamente anche su Ebay o Amazon al costo di quasi cinque euro per una bustina di venti semi. Le talee o le piantine da vivaio si trovano prenotandole in molti vivai o consorzi agrari provinciali.
In questo articolo racconto piuttosto dell’esperienza di piantumare il cappero direttamente in situ su condizioni piuttosto complesse sperando di avere la germinazione prima dell’inverno con seme fresco raccolto in agosto.
Con alcuni tenterò la semina in situ già a fine estate, col resto la semina a terra a fine inverno prossimo.
Ho raccolto un po di frutti ormai chiaramente maturi e per buona parte privi anche della gelatina interna succhiata via da lucertole, uccelli e pure dalle formiche. Mi sono aiutato con un po di detersivo al limone per piatti per scollare di mano i semi appiccicosi e dissolvere l’effetto colloso del raccolto, poi ho lavato il tutto, circa 500 semi in totale e li ho messi a essicare per un paio di giorni.
Siccome il tegumeno è già durissimo nella fase di maturazione e di dispersione, (altrimenti si imbibirebbe d’acqua e germinerebbe all’interno del frutto stesso), ho seguito il consiglio comunque di scarificare il guscio esterno mettendo i semi in una scatolina foderara di carta vetrata fine e scekerando per una decina di minuti per favorire l’abrasione e la riduzione quindi dello spessore della protezione.
Mi sono procurato poi un po di muschio e alcuni fichi maturi secondo alcuni consigli, poco approfonditi, letti qua e la sul web. I semi sono tanti che all’interno dello stesso foro sulla prete di piantumazione potrò provare più tecniche.
Niente fitofarmaci, niente passaggi in frigo per simulare la stagione invernale, niente bollitura, solo la scarificazione e poi la bagnatura per due giorni circa. Negli impiasti semisolidi di terra, muschio, fichi, ecc.. prevedo di inserire venti semi per ciascun foro con la speranza di dover radere molte piantine piuttosto che non vedere spuntare nulla.
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