29 Aprile 2025 in Notizie

La Stalla Domestica 3/3

L’AZIENDA AGRICOLA

Concorre allo sviluppo di quella che fin qui abbiamo chiamato “stalla domestica” la dimensione rurale dell’abitato.

In nessun centro che presentasse economie spiccatamente commerciali o amministrative, o semplicemente ambisse alla qualifica di piccola o grande cittadina, la presenza di animali di grossa mole sarebbe stata consentita come invece si tollera nei tanti piccoli centri rurali della Provincia.

Nei casi di una maggiore dimensione dell’azienda agricola, o per semplice incompatibilità urbanistica, l’allevamento viene sempre delocalizzato rispetto al centro abitato o nella immediata periferia o nelle storiche masserie in piena campagna.

I titolari di queste aziende di maggiore dimensione quasi sempre non concorrono direttamente alla cura degli animali ma si affidano a massari, custodi, guardiani o a mezzo di contratti di colonia si procurano le opportune scorte per l’alimentazione con il lavoro di bracciante e piccoli contadini.

Le economie e le incombenze in questo caso crescono, così come le competenze merceologiche, l’attitudine alla contabilità e la figura di questo imprenditore agricolo spesso si confonde con lo svolgimento contestuale di altre attività come quelle professionali, finanziarie  o industriali.

I cunti de l’oiu -Un’azienda agricola che gestisce dai 30 ai 40 ettari di terreno diversamente coltivati si trova a gestire una contabilità che non può essere ridotta alla semplice memoria. Produzione e vendita di carne da macello con regolarità agli esercenti, produzione e vendita di formaggio a ciclo giornaliero, gestione delle sementi e delle arature, vendemmie e stoccaggio di vini, rimonde, raccolta e trasformazione delle olive, produzione e manifattura del tabacco e una infinità di adempimenti che la gestione del personale fisso, di quello avventizio spesso complicato dai rapporti di colonia richiedono una figura imprenditoriale con livelli di istruzione superiori che può ritrovarsi solo nel perpetuarsi di vecchie famiglie possidenti.

Non è un caso che nel registro giornaliero delle entrate e delle uscite dell’avvocato Enrico Rizzelli (1868-19 ) ci sia la tabella pitagorica dietro la propaganda dei fratelli missionari. Il brogliaccio è una sequela di somme e moltiplicazioni certamente non alla portata di ogni cittadino ortellese. Non è raro trovare sui vecchi muri conti segnati a matita, spesso colonne senza somme, poche moltiplicazioni, le divisioni rarissime. Numeri lasciate sui muri a testimonianza del rispetto di un accordo o della propria onestà. Famigerati i semplici calcoli aritmetici che si svolgevano nei frantoi.

Il giornaliero del nostro concittadino tenuto dagli anni 1929-1930 e salvato fortunosamente dalla distruzione ci consente di confrontare la piccola azienda agricola che sta dietro alla stalla domestica con una azienda tra le più grandi del paese.

Un maestro muratore costa 14 lire al giorno, un muratore 13, un ragazzo d’aiuto 7,  un chilo di riso viene 1,10 lire, un chilo di pane 65 centesimi, un chilo di zucchero 4,45 lire al chilo, le carrube si vendono a sacchi, un chilo di fichi secchi vale 80 o 105 centesimi al chilo secondo la qualità. I lupini a 1,65 lire, 100 chili d’olio 135 lire, un chilo di grano 50 centesimi, una giornata di aratura costa 23 lire, un cavamonti prende 8 euro al giorno, un concio di tufo franco cava 28 centesimi. Il libro giornaliero è un vero prezziario della vita quotidiana.

Siamo ai primi dell’anno 1929, nella metà esatta tra le due guerre mondiali e la stagione annuale comincia con la prosecuzione di quella precedente vale a dire con la raccolta delle ulive. Le braccianti sono quasi sempre le stesse, un gruppo fedele che si presenta ogni volta che si richiede un certo numero di lavoratrici e di qualche aiutante maschio, spesso il giardiniere o il fattore fisso.

Le giornate effettuate sono appuntate con pignoleria e per soprannomi: ‘Ncoppe, Scorcia, Deva, Tuja, Muzza, Vantaggiata, Polli, Lezzi, Tujo, Tore Cretì, Pizzicarella, Massafra, Stella, Clelia, Riccarda, Genoveffa, Capona, Tetta, Manna, Lauretta, Bonafede, Gallozzi, basta capirsi. Nino Massafra sempre presente su ogni campo e ogni lavoro. Per ogni giornata alle ulive si pagano 3 o 4 lire alle donne, 4 ai ragazzi e 5 al maschio. La stagione della molitura comincia il 3 novembre del 1928 e finisce il 14 febbraio del 1929. Si macina da Giovanni Martella, Rocco Miggiano e anche al frantoio di un fratello di Enrico. Un po’ di olive si vendono a 32 lire il tomolo. Sulle prime vascate, ognuna da 5-6 tomoli, la resa media è di 4,60 kg di olio per tomolo di olive (40 kg circa).

Ogni mese si vendono a Giovanni Mileti, che forse gestisce una macelleria o una puteca, un paio di agnelli da 6 kg l’uno, il grano venduto a 8 lire il tomolo, l’orzo  a 4,45 al tomolo, la biada a .

Quando serve si offrono arature, sia a terzi che ai propri coloni. Il paricchio lavora per Nino Massara a Vignavecchia, per Peppe Martano, Fanfulla, Cretì e Tappu a Terra De Giorgi, ad Armando per il Vorio, a Capone per la Pitrusa, a Ciccone per la Torcera, a Carmine per Cavaccione, al suo giardiniere per i Saurrusi, a Tosolina per Pezza li Monaci, e così via.

Finita la raccolta si passa alla rimonda. Damiano, Giacomo, Nino Cavalieri, Tore Surdo, Muto, Gravante Giorgio, Fiorenzo, Michelino, Nino Buffo, Giuseppe Sciotta, Lazzaretto, Zaino. Ognuno saldato a 8 lire la giornata, il legatore delle fascine (sarcine) a parte.

A metà marzo si da una sarchiata alla grossa al grano con la solita squadra di donne. A metà maggio si comincia a lavorare sull’aia: piselli, lupini, ceci e poi il grosso dei cereali. La paglia venduta sull’aia per 260 kg a Francesco Cazzato, 25 q.li a un certo Bortone di Diso, e poi a Giorgio Vantaggiato, Stefano De Blasi, Mauro Michele. A luglio per ventilare il grano se ne occupano uomini e donne, 4 lire a giornata alle donne, 5 agli uomini.

Dall’aia ci si arrampica sugli alberi dei fichi ormai maturi. Nella prima annotazione dai Saurrusi arrivano 6,4 tomoli, da Casino 1, da Terra de Giorgi 1,5 e così via. L’azienda Rizzelli porta a casa circa 730 kg di fichi secchi da rivendere al mercato per l’esportazione (du ‘mmarcu).

Nel frattempo si commissionano ricostruzioni di muri, scavi di calcinaie, pulizie di pozzi e cisterne. Nino Massafra ricolma un pozzo alla Longa mentre Antonio della Santa ci sta arando. Per arare tutta la Longa Antonio e un certo Fanfulla si fanno 20 giornate ciascuno a 6 lire l’una.

Come imprenditore non solo agricolo il nostro avvocato ha per tempo commissionato a Nuzzo Salvatore fu Donato l’imbianchimento interno ed esterno dello stabilimento balneare di proprietà a Santa Cesarea Terme e venduto a Pippi Circhetta 4 kg di colorante per cemento giallo arancio a 5 lire al chilo. A Giuseppe Ruggeri 5 chili di giallo limone, 4 chili di rosso mercurio e 1 chilo di nero avorio un po’ più cari. L’avvocato ha una fabbrica di mattoni a Maglie e da quello che si intuisce vende il colorante che usa per le sue cementine, comprato a Milano, a chi fa lastricati in opera colorati (alla veneziana) e forse agli imbianchini che colorano le loro scialbature di calce.

Ad ottobre riparte una minuta contabilità per dotare i coloni per le semine autunnali. Grano, orzo, avena, piselli, ecc.. secondo l’estensione del fondo coltivato e il ciclo della terra si chiude con la nuova raccolta delle olive.

Nonostante una corte di una quarantina di pecore non vi sono annotazioni circa la produzione e la vendita di latte e derivati. Il 9 ottobre, tuttavia, ad Antonio, calderaio di Uggiano La Chiesa, si ordina una nuova caldaia di rame, finitura martellata liscia, fondo doppissimo, a 18 lire al chilo di rame, mentre l’artigiano si riserva di scontare la vecchia per 5 lire al chilo. A maggio comunque si tosano 34 pecore e 8 agnelli, se ne occupano il pastore, Raffaele Gravante e Donato Capone a 0,50 lire a capo.

Sono gli anni in cui l’Italia raggiunge il record di produzione di foglia di tabacco lavorato e sulla fascia adriatica salentina questa coltura ormai ha monopolizzato i campi.

La stagione per l’imprenditore comincia col pagare la tassa di esercizio per la lavorazione del tabacco dell’anno precedente che per l’azienda Rizzelli ammonta a 78 lire e poi una serie infinita di marche da bollo,  il primo settembre ben 58 marche da 2,70 lire, il giorno dopo altre 72 da 1,85 lire. 

L’attività di manifattura prevede costi per assicurazioni, infortuni, malattia. Il fermo di un carro ferroviario alla stazione di Spongano e di  Poggiardo per il carico del tabacco costa 30 lire.

A dicembre si imballa ancora il tabacco e a fine anno dalla notissima merceria Cavallo di Maglie si comprano 35 chili di tela, poi l’anno dopo sempre da Pippi Cavallo altri 30 sacchi di iuta.

Come obbligo verso i coloni, ai quali  cui deve fornire oltre alla terra sementi, piantine e varia attrezzatura a Salvatore Panico si comprano da Giorgino a Maglie 60 telai per essiccamento di tabacco (talaretti) a 5 lire ciascuno da tenersi nel fondo Aia. Si comprano brocche di ferro zincato, innaffiatoi, mazze, maestro Ciccio fornisce 10 maniglie per tragno. Anche Carmine, stagnino da Poggiardo, fornisce roba di latta e recipienti zincati.

Giorgio Palazzo e Tore Polli, cavamonti, prendono 900 lire per lo scavo di due nuovi calcinai, Rosario Pede, l’anno dopo deve allargare le cisterne d’acqua usata per lo spegnimento della calce, Toto Nicolardi e Giorgio Tuju provvedono a intonacarla.

Nell’aprile del 1931 si inizia la costruzione di un classico essicatoio da tabacco, termine con cui molti paesani chiamano qualunque costruzione rurale. Si costruisce nel fondo Leandro, i primi conci di tufo li fornisce Giorgio Barone, 576 pezzi a 28 centesimi l’uno, il capomastro Toto Nicolardi prende 14 lire di giornata, suo figlio 13, il manipolo Giorgio Cretì 8. Il secondo lotto di 140 tufi li fornisce Arturo Roma, poi gli ultimi 54 Fioravante Cascetta.

Servono 1210 embrici (irmici) per la copertura dalla pioggia e 35 mazzi di canne per l’incannucciato sottostante. Alla fine gli embrici non bastano e maestro Nicolardi, trovando in Piazza ad Ortelle Antonuccio, il figlio di Salvatore Indino di Lucugnano, contratta ancora altre tegole per 13,50 lire. L’orditura del tetto richiede 16  murali 7×7 cm e due travi 18×20 cm da sei metri, per l’imbiancatura serve una sola giornata, a  Giorgio Zaino che ha legato le canne si pagano 5 giornate.

Molto probabilmente ci si conserverà dentro il tabacco essiccato fino all’imballaggio.

I lavori più pesanti vengono pagati meglio. Per pulire il pozzo nel fondo Puzzelle chi sta sotto prende 17 lire a giornata, quello sopra che tira l’argano 18 lire, e mezzo litro di vino a testa.

La coltivazione a colonia più frequente è il tabacco. Giorgio Capone si prende 42 are della Petrusa e 70’000 piantine, che tolti un po’ di stradoni e i capitali è la classica piantumazione con 15 centimetri tra una piantina e l’altra e un interfilare di 50 centimetri.

La Longa è divisa in tre coloni per un totale 680 mila piantine di tabacco. Sono almeno 15 i coloni che nel 1932 lavorano tabacco sulle terre dei Rizzelli.

Il blocco tra il piccolo latifondista salentino e i suoi coloni diventa all’interno delle comunità rurali un blocco sociale con dinamiche di solidarietà interne molto forti e spesso un vero e proprio cartello elettorale in contrapposizione con altri cartelli interni alla comunità. Votano ancora i soli maschi e, se capita l’occasione, non si manca di immortalare la propria forza elettorale.

All’imprenditore compete anche il dovere dell’aggiornamento professionale. Non è raro trovare nei suoi appunti notizie di botanica copiate da qualche testo e numerosi bollettini agricoli in abbonamento come ad esempio quello edito dal Comizio Agrario di Lecce  con reclami di prodotti e attrezzature e con un sommario di articoli informativi e discussioni sul mondo agricolo.

Il 23 dicembre del 1932 si ritirano 11 quintali di patate da seme opportunamente ripartite tra vari coloni in base alla estensione del fondo assegnato. A Capone Pietro vengono consegnati 2 quintali di tuberi e i concimi raccomandati dalla letteratura tecnica per una proficua produzione: 50 kg di nitrato, 30 kg di potassio e 2 kg di perfosfato. E’ la prima volta che negli appunti dell’imprenditore compaiono i concimi prodotti dalla chimica industriale.

Ancora in quegli anni negli affitti degli stabilimenti balneari di Santa Cesarea Terme di sua proprietà il Rizzelli ci tiene a specificare in contratto che il letame della stalle in cui si sistemano i tiri delle carrozze dei villeggianti resta di sua proprietà.

Sono anche gli anni della corrente elettrica in casa. Il 14 novembre del 1931 a palazzo Rizzelli si inaugura l’impianto della luce elettrica installato dal magliese Gennaro De Iaco. Nel febbraio successivo per 220 lire si installano anche i comodi campanelli.

Con le rimesse degli emigranti e la produzione in proprio su modesti appezzamenti della foglia di tabacco tutto il blocco dei coloni nei decenni successivi andrà ad impoverirsi e ad emanciparsi completamente.

Una nuova ricchezza diffusa per cui la mucca giù in cantina comincerà a non essere più indispensabile come nei secoli prima.




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