Il mio San Vito – 18 – 19 – 20 – 21 – Le casette
Te le ricordi sempre così, fino a credere che siano state lì da almeno gli stessi secoli della chiesetta, eppure non erano tanto vecchie. Erano, perchè le vecchie casette le hanno rifatte completamente nel 2013.
Alla fine degli anni ’50 il boom economico e la prima motorizzazione di massa determinò una forte evoluzione nel commercio ambulante: api, motocarri, camion, ecc.. portarono in giro e a lunghe distanze una massa di prodotti che prima era impossibile trovare a buon mercato nei negozi dei paesi o addirittura nemmeno in vendita. Si vendevano i nuovi tessuti artificiali (nilon, terital, ecc.) le stoffe finalmente stampate a colori, gli oggetti di plastica, le padelle in alluminio, i vestiti e le scarpe già confezionate e tutto il resto dei progressi della nuova industria chimica.
Erano ambulanti che percorrevano i soliti itinerari nei paesini ma poi si ritrovavano a fare mercati settimanali o fiere annuali. La fiera a Ortelle nella quarta domenica di ottobre ne raccoglieva a centinaia e la risposta della clientela non era da meno. Anche loro, aiutati dai nuovi mezzi meccanici, comprese vespe e motocicli, arrivavano più numerosi che negli anni precedenti quando venivano solo a piedi o coi traini tirati dai cavalli. Il mondo stava già cambiando: finiva la vecchia fiera contadina regolata sui ritmi dell’agricoltura e nasceva qualcos’altro, più terziario, più commerciale, più da stipendio, da salario e rimesse di emigrazione all’estero.
La mattina della domenica, tradizionalmente dedicata al mercato, lo spettacolo era grosso modo quello della foto ripresa dalla terrazza della casa di Vito Maggio. Molta gente, teloni forse svendite di materiale di guerra, qualche camion, i nuovi Ape della Piaggio, il fondo del Largo San Vito ancora per buona parte selvaggio, ma senza casette. La carne lessa probabilmente si cuoceva per strada o al riparo dei teloni.
Non sappiamo quale categoria spinse per costruirle, se amministratori previdenti o le lobby di macellai, tant’è che si decise di fare questi ricoveri essenziali per la vendita della carne principalmente di maiale. A studiarle, ci danno l’idea dello standard igienico-sanitario di quegli anni, tanti piccoli box, senza acqua corrente ed elettricità, senza porte, senza piastrelle alle pareti e per molti anni alcune anche senza intonaco, due robuste sbarre d’acciaio agli angoli interni per appendere le mezzene di maiale. Era tale il peso della Fiera nella comunità locale che nessuna autorità sanitaria osò mai impedire lo svolgimento della vendita della carne e le ripetute minacce, mai attuate, portarono solo a minimi interventi di facciata. Un anno le porte in ferro, poi le piastrelle, poi la corrente, poi l’acqua corrente, anche un pozzo nero. Ma mai celle frigorifere o locali per cuocere.
L’assegnazione delle casette annunciava la Fiera. Prima ancora degli ambulanti che andavano a segnarsi il posto per terra con la zappa o con una fila di pietre solo la settimana prima. Il Comune di Ortelle assegnava invece le casette con molto anticipo. Erano momenti di tensione che evidenziavano le trasformazioni sociali ed economiche del territorio. Per anni prevalsero le lobby dei macellai che in quell’occasione spostavano la vendita dalle loro macellerie ai “box” di San Vito, poi anche qualche gestore di bar, poi negli ultimi anni prevalsero i veri allevatori e negli anni recenti solo su un percorso di provenienza di origine e allevamento certificato. Preferenza ai paesani, gli ortellesi a levante, i vignacasciari a ponente.
I box centrali, più grandi per chi aveva più maiali macellati in vendita. Lo schema era sempre quello: la vendita a taglio della carne cruda all’interno dei box, su un tavolo d’occasione. I maiali sospesi a due sbarre d’acciaio in fondo sugli angoli. Nel lato libero un calderone per la carne lessa su un fornellone a gas. Fuori porta la braciera per la carne arrosto e chi poteva allestiva una baracca sul davanti con tavole e teloni per proteggere la clientela dalla pioggia. Con l’insistenza della USL di Poggiardo si arrivò negli anni a un compromesso: i box da assegnare dovevano essere due: uno per il crudo e uno per il cotto, ma mai il direttore sanitario di zona addomesticò completamente gli interessati, nè era possibile: i veterinari della USL, che per tutto l’anno assistevano gli allevatori nella cura dei loro animali, mai avrebbero avuto la mano pesante in quelle giornate di realizzo economico.
E’ vero che per molti anni gli animali in vendita erano comprati ai macelli pubblici, ma dagli anni ’80 in poi una classe di veri allevatori si andò affermando e molto del prodotto in vendita veniva cresciuto nelle porcilaie di Ortelle e Vignacastrisi.
Le casette erano state costruite nella metà degli anni ’50 a cantiere. Ci lavorò mio padre, suo fratello più piccolo e tanti altri paesani. Era un blocco simmetrico di casette in linea, quelle centrali più grandi e più alte, e quelle sulle ali più piccole e basse. Erano voltate a botte in muratura. La prima che fu voltata crollò perchè i conci di tufo erano scadenti. Erano stati cavati appena fuori il paese verso Vitigliano e non resistettero alla pressione generata dall’arcata. Erano gli anni che Bonafede Martano e la sua squadra cavava tufi e il resto del paese metteva su. Per anni rimasero senza porte.
Furono costruite sul vecchio cimitero di Ortelle. Negli anni precedenti era già stato buttato giù il muro che lo recintava verso la cappella creando l’ampio spazio antistante (17), ma solo con lo scavo delle fondazioni vennero fuori i resti delle sepolture. Il Comune provvedeva a fornire agli operai le cassette di legno per il trasporto negli ossari del cimitero nuovo ai Pulieri.
Non tutta l’area del vecchio cimitero fu occupata dalla costruzione, una parte verso ponente (20) rimase alle spalle delle casette abbandonata per anni. Per liberare il vecchio cimitero da certi iussi vantati da zio Pacifico, negli anni precedenti gli era stata offerta a compensazione un’altra area sullo stesso largo verso il paese, dove poi i nipoti Marcello e Luigi hanno edificato la loro casa. E’ probabile che dalla costruzione del nuovo cimitero fino alla fine degli anni ’40 questo spazio fosse in uso a zio Pacifico che ci piantava e ci raccoglieva i frutti come un orto qualsiasi. Mia nonna mi diceva ogni tanto, nelle lunghe sedute a infilare foglie di tabacco, che quei frutti, anche se regalati dal fratello, non li aveva mai mangiati.
Per 360 giorni l’anno le casette erano il posto dove si infilava il pallone quando si giocava di fronte, o il terrazzo da scalare per recuperarlo. Quando aravano il terreno privato (21) dietro le casette della Bianca, dai bassi parapetti si facevano i salti sulla cresta dei morbidi solchi appena frollati.
Lo schema di combattimento il sabato sera era sempre quello: un macellaio professionista pagato per sezionare e valorizzare i tagli classici del maiale, la moglie o il figlio per occuparsi del lesso che bolliva nei pentoloni che mano a mano erano sempre più pieni di grasso che di acqua, per cui alla fine più che il sapore del bollito la carne prendeva il sapore del fritto, un frontman alla graticola avvezzo a ogni richiesta, un jolly tuttofare che si divideva tra cassa, panini, buste e bevande. Il registratore di cassa concetto ancora assente.
L’enorme graticola sul fronte è stata negli anni l’oggetto a più alta sperimentazione tecnologica. Per espresso volere dell’autorità sanitaria i suoi fumi non potevano elevarsi liberamente nel buio della notte ma dovevano essere rimbalzati da una cappa superiore e finire in faccia agli affamati. Anche nella nuova ricostruzione non si è voluto dimenticare la tradizione e i fumi vanno in tutte le direzioni tranne che in quella verticale della cappa superiore.
Carne cruda, specie nelle prime ore del pomeriggio del sabato e della domenica, carne cotta nel sabato sera. Costate, braciole, scorsette, pancetta, gnomareddri sulla brace, lesso per stomaci e occhi più robusti. Il muso del maiale o l’orecchio o il pelo sulla cotica, lessati, sono leggenda. Da qualche anno si è affacciata la porchetta, prima comprata poi preparata in zona.
Anche sulla copertura di protezione per la pioggia si sperimentò molto. Teloni, incerate, poi i primi teli di polietilene, in ordine sparso, poi l’intervento radicale di una tettoia in lamiera continua su tutto il fronte. L’accoppiata sanitaria della cappa sulle graticole e la copertura in lamiera generarono un caratteristico sbiancamento notturno visibile a chilometri lasciando tutti nella perplessità se meglio rischiare di morire per una costata arrostita all’aria aperta o di asfissia sicura.
Comunque da occasione di gozzoviglio di squadre di anziani padri di famiglia, avvezzi alla carne lessa e al vino dozzinale, si è passati pian piano a una clientela di giovani fighetti che per alcune sere trascurano pub della zona e le cazzate su facebook.
Dopo una decina d’anni dalla costruzione del primo blocco storico, sul lato di ponente si affiancarono altri quattro box che rimasero per molti anni senza intonaco e senza copertura. Pare che durante il cantiere i soldi presero le tasche sbagliate e gli operai se ne tornarono a casa anzi tempo. Erano box dati in uso a disperati o arrivati fuori tempo che dovevano provvedere a coprirsi il cielo con teli di fortuna. Nel box terminale ci costruirono una cabina dell’Enel, mentre sulla piccola facciata di levante Antonio Chiarello ancora qualche anno dopo ci costruì una fontana in pietra.
Di quelle pietre non è rimasto su più nulla, le hanno buttate giù l’anno scorso e rifatte appena in tempo per la Fiera del 2013, più corte, più tozze, più alte con un porticato di vero solaio. Con l’acquisto di parte dei terreni privati alle spalle è stata creata una zona di servizio per il carico e scarico degli allevatori. La speranza che possano essere usate più spesso.
Il mio San Vito 1-2-3 – La Madonna della Grotta
Il mio San Vito 4-5-6-7 – Il Tabacco
Il mio San Vito – 8-9-10-11 – Le spine e i grilli.
Il mio San Vito – 12 – Le cicureddhre
Il mio San Vito – 13 – 14 – 15 – La Cappella
Il mio San Vito – 16 – 17 – La spianata
Il mio San Vito – 18 – 19 – 20 – 21 – Le casette
Il mio San Vito – 22 – 23 – 26 – il Campo di pallone
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