Sub stillicidio
Le città del medioevo sono chiamate le città dei vivi e dei morti. I cimiteri sono all’interno delle città e gli abitanti ne praticano senza tabù lo spazio. La tradizione antica, fino a quella romana, prevedeva che le sepolture fossero esterne alla città, presso apposite necropoli, o come, appunto per i Romani, lungo le strade di accesso alla città. Più praticamente i Romani praticavano di preferenza l’incenerazione e il seppellimento delle urne delle ceneri. L’abitudine si conservò anche per i primi secoli dell’affermazione del cristianesimo, ma poi, con l’affermazione del dogma della resurrezione, si cominciò a proibire la cremazione dei corpi. Le sepolture, comunque, avvenivano fuori mura, ancora nei vecchi cimiteri romani, accanto alle prime chiese che iniziavano a conservare le reliquie dei primi santi.
Nella metà del V secolo dopo Cristo, con lo spostamento delle reliquie dei primi santi all’interno delle chiese urbane, spesso usate per la consacrazione delle nuove chiese cittadine, nasce la pratica della sepoltura in ambito urbano; un fenomeno che già a pochi anni dall’Editto di Costantino (313 d.C.) richiede una particolare disciplina. Col Concilio di Braga, nel 563, si vieta la sepoltura dei laici nell’interno delle chiese specificando che tale ambito fosse riservato solo ai santi, al clero, ai fondatori e i benefattori, che devono però accompagnare la richiesta della sepoltura entro la chiesa (col termine ad ecclesiam, e a partire dal 12° secolo ad sanctum) con un generoso lascito. Dopo la cura delle anime, anche la cura dei corpi, passa sotto la gestione della Chiesa, e in particolare spesso dei monaci e delle confraternite religiose. I potenti delle gerarchie ecclesiastiche e nobiliari distinguono la loro condizione con la sepoltura nelle parti più sante della chiesa come il presbiterio, accanto alle reliquie dei santi venerati, o in altari o cappelle di famiglia in sarcofaghi che sono spesso vere opere d’arte. Ai parenti e ai restanti benestanti restano i pavimenti delle navate. Ai poveri è concessa la sepoltura appena fuori dalle mura della chiesa in spazi che non potevano non interferire con la stessa vita cittadina.
Numerosi divieti, per tutto il medioevo, vietano nei cimiteri le cose più impossibili: ballare, fare rumore, esercitare mestieri, mercanteggiare e persino prostituirsi, segno dell’uso che di tali spazi l’andazzo generale ne faceva. Solo nel Settecento verranno emanati i primi regolamenti che tentano di spostare le sepolture fuori dalla città. Nel Regno delle Due Sicilie una legge poco recepita della metà del settecento vietò le sepolture all’interno della città, ma solo l’editto di Saint Claud del 1804 di Napoleone diede un reale impulso alla nascita dei nuovi cimiteri extraurbani.
L’editto di Saint Claud, come la legge sullo Stato Civile (dell’Anagrafe) più che una ovvia norma di igiene è principalmente il tentativo riuscito di laicizzare i nuovi stati napoleonici togliendo alla Chiesa l’esclusiva dei registri parrocchiali istituiti col Concilio di Trento e, nello specifico dei cimiteri, la cura dei morti sulle cui salvezza delle anime preti e monaci avevano lucrato per secoli. E’ anche vero che gli incrementi demografici degli ultimi secoli non potevano più concedere nuovi spazi per le inumazioni entro le chiese e le mura, anzi, fu proprio con lo spostamento dei vecchi cimiteri prossimi alle cattedrali e alle chiese che si realizzarono le prime grandi piazze cittadine.
La costruzione dei cimiteri extra urbani, specie nei piccoli centri, non si avviò che nei primi anni del 1900. L’editto di Saint Claud infatti ebbe alterne fortune seguendo il destino napoleonico tant’è che ancora nel 1835 il Vescovo Grande di Otranto concede alla famiglia Rizzelli di Ortelle la possibilità della sepoltura in esclusiva nella Cappella di San Vito in cambio della cura della chiesa. Analogo beneficio era stato concesso qualche anno prima alla famiglia Bacile per la sepoltura in una Cappella privata in Spongano.
L’intimità col sacro è costantemente anelata quasi sia che il contatto con la sacralità delle reliquie di un santo sia garanzia della salvezza dell’anima nel giorno del Giudizio Universale. Ogni altare, principale o nobiliare, viene consacrato col murare o custodire entro di esso le reliquie (vere o tarocche) dei santi di cui nel medioevo si fece ampio commercio.
Non è una sorpresa, dunque, avviare un saggio archeologico lungo le mura esterne di una chiesa cattedrale costruita nel mezzo del medioevo come quella dedicata alla Madonna Annunziata di Castro e trovare riscontro di queste continue pratiche secolari.
Pochi centimetri sotto il vecchio pavimento di battuto di terra, che fu ricoperto di cemento solo prima del 1960, si cominciano a trovare le prime ossa lunga, risepolte una o più volte dentro una nuova fossa comune scavata nel terreno.
La cosa che più colpisce però sono le numerose sepolture di bambini appena nati sepolti nella nuda terra, senza cassa, ricoperti prima da una tegola in argilla (irmice) e poi da poca terra. Sono buche molto piccole, della lunghezza di pochi palmi, larghe appena il necessario, la cui giacitura appare incongrua sia con la prossimità alle porte di accesso ai locali di culto (Congrega) sotto la Cattedrale sia per la posizione appena sotto la verticale delle pareti.
Se la prima circostanza si può spiegare con le evidenti ristrutturazione dei locali seminterrati e l’adeguamento dei varchi di ingresso che danno sul Largo della Congrega, la seconda circostanza apre la suggestione su tristi consuetudini che solo i successi della medicina nel secolo scorso hanno contribuito a debellare e quasi a far dimenticare.
Sono corpicini di bambini appena nati, forse non battezzati, a cui è preclusa in ogni caso la sepoltura entro la chiesa o nei luoghi più sacri. Se ai bambini morti prima dei sette anni era vietata la messa funebre in quanto si ritenevano incapaci di peccare e quindi niente affatto bisognosi di preghiere, ai bambini morti a pochi giorni dalla nascita, era vietata l’inumazione nei luoghi santi e la tanto sperata contiguità coi santi e le reliquie dei santi.
La storia processuale neppure tanto antica di Lucia Cremonini, ragazza madre e infanticida, impiccata a Bologna nel 1710 narra di squallidi monaci che garantivano previa generosa riconoscenza, la rinascita dell’anima del nascituro per una sorta di battezzo pre-morte che dava diritto all’agognata sepoltura in luogo sacro, spesso all’interno dello stesso monastero.
E non è escluso che la stessa famiglia cercasse il “contatto” con sepolture clandestine fatte appena fuori le mura della Chiesa, nel posto più santo possibile, proprio sotto la verticale dei gocciolatoi (Sub stillicidio) e dei suoi spioventi. Sono quelle di Castro, appunto, sepolture frettolose, scavate quasi con le mani o attrezzi di fortuna, a una profondità tale, che se non fossero protette dalla tegola, sarebbero facile cibo degli animali randagi in pochi giorni. Non presentano alcun ornamento, anche simbolico, come per esempio una fila di pietre o sassi accanto al corpicino, una cassa, o una lastra di pietra leccese. L’unico rituale comune è solo la posa di un elemento di facile reperibilità nel contesto medievale o fine medievale quale un coppo, forse una posa praticata da un comune complice fossatore o da un riservato passaparola. La pratica, benchè clandestina, era probabilmente tollerata e nessuno ne chiedeva conto a nessuno. Il posto non era a caso, ma frutto della convinzione per le avvilite madri, che le acque piovane, bagnate le pareti della chiesa e quindi santificate, gocciolando sulle sepolture ne rendessero in qualche modo l’agognato battesimo. Ne più ne meno di quello che fa un cattolico entrando in chiesa e bagnandosi al Battesimale. Questo tipo di sepolture, entro le sporgenze dei tetti o a diretto contatto del defunto con le mura degli edifici sacri, è nota in archeologia con il termine di sub stillicidio e denota in ogni caso anche per i soggetti adulti l’impossibilità della sepoltura entro le mura, o per l’indegnità del defunto (suicida, incendiario, usuraio, ecc..) o per lo stato non battezzato.
I registri parrocchiali di Castro parlano di defunti seppelliti entro la Cattedrale fino a tutto l’Ottocento. Il 18 marzo 1855 la concittadina Giuseppa PICCINNI rende l’anima a Dio e il de cuius corpus tumulatum fuit in hoc Collegiata Ecclesia.
L’abitudine perdura fino a che la situazione diventa intollerabile e si dovrà ricorrere per alcuni anni alla tumulazione dei morti nel vicino cimitero di Marittima. La prima tumulazione nel cimitero nuovo di via Marinai d’Italia pare sia nella metà degli anni trenta, Annunziata CAMPA, nata a Sanarica, levatrice, coniugata con Gabrile CAPRARO (1872-) madre di Gennaro (1895-), Addolorata (1861-1888), Lucia (1867-) Luigi (1870-) occupa uno dei primi posti nei colomabari nella cripta in muratura.
Tornando alle sepolture infantili dell’Ottocento (e probabilmente anche nel secolo prima) la destinazione dei corpi è sempre all’interno della chiesa Cattedrale.
Il 20 agosto 1850, Cecilia GIORDANO, una dei tanti esposti a cui dedicheremo più avanti un intero articolo, viene registrata morta ad un anno circa e il de cuius corpulia sepultum in sepulcro parvulorum huis Collegiate Ecclesiae. Da quanto è facile desumere dagli atti di morte agli infanti e ai bambini (parvulos) era destinata una specifica fossa separata dagli adulti. A volte il tipo di sepoltura per loro è annotato brevemente col termine more parvulorum.
I bambini vengono generalmente battezzati nella prima settimana di nascita, la maggioranza nei primi tre giorni di vita. Non sappiamo se per i nati morti o i morti subito dopo il parto e senza il battesimo fosse prevista tale sepoltura in chiesa, o se venisse comunque praticata senza darne ufficialità nei registri o se si praticasse il battesimo in qualche modo, chiudendo un po di occhi. Di certo il parroco annota sempre per tutti con scrupolo lo stato di comunione coi Martiri della Chiesa, e quindi lo stato di battezzato.
Le sepolture messe in luce in questo maggio 2013 a ridosso del lato sud della Cattedrale in posizione sub stillidicio fanno pensare sia a un divieto di sepoltura entro la chiesa molto ferreo da una parte ma anche per altro verso ad una qualche pietas verso il bambino o la famiglia in lutto. Non conosciamo ancora l’epoca di tale pratica, sicuramente posteriore all’edificazione della Cattedrale (data dibattuta per via della scarsa leggibilità della targa dedicatoria posta sulla facciata del transetto nord che può legegersi come 1171 o come 1271). Se quindi legarla a tradizioni molto più antiche del recente passato, per cui tutto il rito funebre si costituiva solo nella posa della tegola di protezione, se legata al periodo in cui Castro ebbe per molti anni la Cattedrale in rovina, priva persino del tetto, o se sono più recenti e frettolose semi-clandestine sepolture. Le fosse non hanno un particolare orientamento, sono larghe lo stretto indispensabile per contenere un corpicino senza cassa intorno. La profondità appena indispensabile e ricoprirlo. Se ci sarà tempo si raccoglieranno le spoglie di uno di questi bambini, un bambino dell’apparente età di due anni maggiormente conservato.
Agli adulti, generalmente battezzati, stando agli archivi parrocchiali dell’Ottocento era destinato un qualche vano in Chiesa. Dove fossero questo vano non è dato saperlo con certezza, se solo sotto l’unica piccola navata centrale, se nella parte ancora integra della vecchia chiesa basiliana contigua sul lato nord o se nei vani al piano seminterrato raggiungibili da quello che ora è il largo della Congrega. L’unico sacello a vista è quello dei Gattinara del1591 nel transetto nord, che insieme all’altare passò di patronato all’ultimo feudatario di Castro la baronessa ROSSI Colomba, vedova De Rosa. Nella Congrega al piano inferiore è visibile una lapide in marmo in ricorso della sepoltura di tale Girolamo SCARCIGLIA, giovane avvocato napoletano morto in Castro nel 1888.
La risposta, però, ce la da il barone Bacile di Castiglione che qualche anno prima del 1900 (il Maggiulli nel 1897 ne pubblica lo scritto) scopre con un certo orrore che i corpi sono sepolti sopra il vano di ingresso secondario che da alla piazza. Si accede dalla loggia sopra la cripta basiliana, entrando nel campanile ancora da sotto, dalla porticina della cripta stessa. Oggi, invece, sarebbe la stanza che si raggiunge da una scaletta in ferro dal transetto nord e che si attraversa per passare la loggia ed entrare nel campanile. La stanza-fossa, disimpegnata dalla loggia scoperta, non creava alcun problema di miasmi nella Chiesa sottostante. Il Bacile, che odia a morte il prete in carica, non manca di annotare l’illegalità delle sepolture e forse addebita a questa barbarie da tenere ben nascosta la vera ragione per cui qualcuno in Castro si oppone alla realizzazione di una strada decente che porti il beneficio di congiungersi all’umano civile consorzio!.
Se quanto sopra esposto, vale a dire se le costumanze delle sepolture si caratterizzano per la loro epoca e se per la loro epoca si pongono in specifici ambiti urbani, la lettura dei pochi dati sulle sepolture in Castro possono tracciare o confermare alcune ipotesi circa l’evoluzione della frequentazione in questa parte di mondo.
Delle sepolture preistoriche nella Grotta Romanelli e nella Grotta Zinzulusa non parleremo, così come delle sepolture pre-messapiche in quanto dell’Età del Bronzo conosciamo pochissimo. Dei Messapi sappiamo che tradizionalmente usavano vere e proprie necropoli ai lati della città, ma per quanto riguarda Castro tale necropoli non è stata affatto individuata. Le uniche scoperte, male eseguite e per nulla documentate, parlano di un addensamento di tombe lungo la via Di Mezzo, in particolare in occasione della costruzione dell’attuale sede municipale. Si parla di almeno dieci tombe ma senza che nessuno ne precisi con certezza l’epoca. Considerata la posizione e la profondità delle fosse di cui si parla dovremmo essere in una zona di sepoltura fuori il piccolo abitato dell’acropoli ma localizzata lungo l’unica strada di accesso carraia che nel periodo messapico-romano serve l’abitato.
La viabilità principale possiamo immaginarla proprio dalla presenza di queste tombe, poste lungo la strada di accesso alla città che doveva ancora essere la vecchia strada messapica che portava da Vereto e Ugento finoa Otranto passando per Castro. E’ ragionevole pensare che Castro fosse già collegata alla città demograficamente più numerosa di Vaste e quindi ancora di Muro.
Sappiamo che qualcuno conserva in casa un po degli arredi di queste tombe che con una certa sicurezza potremmo indicare non più recenti della tradizione romana. L’area difatti nel corso degli anni subisce un sostanziale innalzamento dei piani, forse in quanto essendo un piccolo bacino endogeno si impaluda continuamente. L’innalzamento consente di far defluire l’acqua piovana attraverso la sella dei Varcuni presso il vecchio Municipio di via F.lli Bandiera dove non a caso sopravvivono fino a pochi decenni fa ampie cisterne di raccolta dell’acqua.
Le tombe di via Di Mezzo sono per profondità coerenti con i lastricati romani trovati di recente presso la sede della farmacia di via IV Novembre a circa 2 metri di profondità dal piano asfaltato. Gli scavi nel Centro Storico non mettono in luce particolari attività dirette in periodo romano ma più generalmente reperti in getti di scarico come se la presenza romana fosse più delocalizzata della frequentazione messapica dell’acropoli. Tale presenza potrebbe essere appunto circoscritta all’attuale primo tratto di via Sant’Antonio, o un po più a valle verso la via Di mezzo, vista anche la scarsa consistenza del centro edificato.
E’ ragionevole pensare che dalla fine del periodo romano e per tutto il periodo della dominazione bizantina l’asse di via Di Mezzo si sia sempre più congestionato di sepolture, piccole cripte cultuali, (favorire da una certa presenza in loco di strati di calcarenite affiorante), ambienti ipogei ed altre strutture antropiche per cui la viabilità di accesso alla città dalla rete principale viaria interna si sia duplicata sui due lati est ed ovest quasi dismettendo l’originaria strada della via Di Mezzo.
Seguendo la logica della tipologia delle sepolture nel corso della storia le sepolture nell’intorno della Cattedrale (unica chiesa certa per gli abitanti di Castro) possono essere solo del periodo medievale. Resti ossei sono stati ritrovati dispersi nell’intorno nei terreni di scavo per la posa delle rete idrica e fognante, così come una tomba con loculo nei pressi della fontanina di Piazza Vittoria, i resti di cui si sta eseguendo in questi giorni lo scavo sul Largo Congrega e da non dimenticare le possibili inumazioni di tutta l’area occupata dal Vescovato.
Fonti orali parlano, inoltre, di un piccolo convento e di sepolture in prossimità della vecchia antenna Rai in via Lepanto, ma nulla di certo. Come sempre.
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