11 Aprile 2010 in Blog, Natura, Territorio

Il Terebinto

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Ci sono alberi così poco conosciuti o poco diffusi da non avere diritto nemmeno al nome. Il Terebinto è uno di questi. Nelle logiche del vecchio mondo contadino è pure una fortuna perché agli alberi “inutili” si destinavano epiteti peggiori dell’anonimato.

E’ parente del Pistacchio (Pistacia Vera L.) e del Lentisco e infatti il suo nome scientifico è Pistacia Terebinthus. In questi giorni stanno germogliando i fiori e a seguire verranno le foglie già pronte sulle punte. E’ uno degli alberi, più spesso a comportamento arbustivo, a tirare le foglie molto in ritardo rispetto agli altri alberi, e specie per gli esemplari più maturi è facile riconoscerlo per l’aspetto ancora spoglio nella verdastra massa fogliare primaverile.


Le foglie sviluppate assomigliano moltissimo a quelle del carrubo e l’impressione spesso è quello di trovarsi davanti a un piccolo alberello di carrubo. Cambiano colore con la crescita e a volte differiscono di colore tra albero.

Presenta spesso delle escrescenze di colore verde o rosse quasi carnose sulle foglie che possono sembrare dei bacelli con i semi dentro. In realtà sono delle galle di reazione alle punture degli insetti, afidi o uccelli. Le calle contengono molto tannino e questa presenza sul territorio potrebbe essere legata alla concia e alla colorazione delle pelli che nel tricasino e nel magliese è durata fino a pochi secoli fa.

Se ne ricavava pure un astringente per le gengive probabilmente a curare l’insorgenza delle gengiviti espulsive e ultimamente si è individuato anche un principio attivo antinfiammatorio (triterpene) a conferma dell’uso farmacologico ad “ampio spettro” che se ne è fatto in passato.

Tornado agli afidi che pungono le foglie e poi nidificano all’interno delle galle fino alla loro apertura, solo il 10% delle specie di afidi produce galle sulle piante e tra queste c’è Baizongia pistaciae  (oltre Pemphigus cornicularius e P. semilunarius) che sul terebinto genera delle galle che ad albero spoglio hanno un bel colore acceso:

Le foglie appena spuntate hanno un colore rosso-bruno, mentre da adulte prendono un bel colore verde acceso. Nelle piantine appena nate le foglie compaiono in notevole anticipo rispetto agli esemplari più vecchi.

E’ difficile trovarlo ad albero. Non producendo frutto edule (commestibile), i contadini non lo coltivano, radendolo spesso alla base, per cui è più facile vederlo crescere ad arbusto col portamento a ceppaia appena sopra il colletto, che poi è il suo portamento naturale.

In realtà nei paesi orientali, come in Turchia, i semi di Terebinto tostati e macinati surrogano i chicci di caffè creando un macinato per estratti al leggero sapore di pistacchio (menengiç) o in Kurdistan (menengiç kahves) chiamato appunto caffè curdo.

Per chi conosce il turco: https://www.youtube.com/watch?v=w_lRgBPN53U in questo video si vede la polvere della torrefazione macinata o una crema addensata addolcire il latte un po come si fa col nostro cacao o il caffè. Ma anche il macinato schietto mischiato a zucchero e riscaldato con poca acqua per un vero e proprio caffè in tazzina.

Se siete vegani o appassionati di bevande esotiche e volete cercare in rete ricordatevi che in Turchia il terebinto ha molti nomi secondo le varie regioni (Örnek: Çitlembik, çedene, çitemik, çıtlık gibi), in Spagna va sotto il nome di Cornocapra (per la forma della galle) mentre in Italia è noto come Scornabecco (Sicilia)

In rete potete trovare molti video sulla torrefazione casalinga, alcuni in arabo o persiano (l’Iran è uno dei più grandi produttori di pistacchio e affini)  tra cui questo in spagnolo: https://www.youtube.com/watch?v=eua7WWFCNi8

Avendo la polpa intorno al seme oleosa se ne estraeva un surrogato dell’olio e in certi ambienti, nonostante la piccola pezzatura, si conservano in aceto o salamoia un po come le olive.

Era in passato una pianta con proprietà diversificate e anche curative, come già detto. L’olio estratto a freddo dalle bacche di terebinto è venduto ancora oggi a 10 euro per una bottiglietta da 100 ml per essere spalmato sulla pelle.

A Creta è usato per profumare il pane, in Turchia per fare sapone dal suo olio (menengic sabunu) e tanto altro ancora. Parliamo di habitat di provenienza (Iran e dintorni) molto poveri, scarsi di precipitazioni, siccitosi e pietrosi dove pochi alberi si sono adattati e producono un sia pur piccolo frutto e da questi l’uomo ha imparato ad estrarre qualunque cosa. A latitudini più favorevoli con terreni più fertili la c(u)oltura occidentale ha fatto a meno di questi piccoli tesori favorita da ben altri apporti della natura e dallo sfruttamento coloniale in ogni angolo del mondo. E’ lecito pensare che tutti questi usi siano in realtà fortemente amplificati da questa povertà di origine del territorio di provenienza che ha fatto inevitabilmente magnificare virtù superiori a quelle che un occidentale potrebbe aspettarsi da questa pianta.

Nei tronchi più vecchi il cuore del legno perde il colore chiaro e assume un colore più scuro venato di nero molto apprezzato da chi realizza piccoli oggetti in legno come rivestimenti per penne al tornio che richiedono alla fine della lavorazione una estrema levigatura finale. Il legno è estremamente duro ma non certo di grande quantità.

Il portamento è quasi sempre ad arbusto con quattro-dieci ramificazioni alla base delle quali spesso nessuna predomina limitandosi in questo modo la sua altezza finale. Se entra in concorrenza per la luce con un bosco di lecci però se la gioca alla pari riuscendo a portare le sue cime oltre i 6-7 metri. Predomina sempre sul Lentisco benchè come sempreverde quest’ultimo abbia più possibilità di coprire e sovrastare.

In Palestina esiste una varietà di terebinto che si è ibridata col lentisco ma nell’areale osservato i nostri terebinti pur convivendo fianco a fianco col lentisco (ristincu o verde) sono rimasti piuttosto puri.

Le piante che ho osservato sono diffuse allo stato naturale sul versante tra Castro (LE) e Marittima di Diso (LE), endemica, sia isolata in pieno sole che nel sottobosco. Un esemplare è a due passi dal chiosco-bar del Bosco di Castro.

Ho osservato anche alberi di una certa dimensione a ridosso della Litoranea per le marine di Andrano (LE) appena dopo l’insenatura dell’Acquaviva.

Sono presenti nei terreni meno coltivati, spesso con rocce affioranti, nei muretti a secco, nello stesso abitat del leccio, tra i rovi e comunque gli spazi dove l’aratro non è mai arrivato.

In realtà l’albero è piuttosto famoso e per due ragioni: la prima per l’estrazione della trementina, la forma commerciale più antica di questa resina oleosa detta di Chio o di Cipro, da cui per raffinazione si produceva il solvente per le vernici e le cere prima della invenzione dell’acquaragia o dei solventi derivati dagli idrocarburi. Ma anche farmaci per la calcolosi. La resina si estrae da incisioni sulla corteccia di vecchi alberi a fine luglio.

La seconda per essere il portainnesto ideale del Pistacchio da coltivazione. In questo caso il Terebinto può assumere anche le funzioni del maschio impollinatore essendo il pistacchio una pianta dioica vale a dire, in termini sempliciotti, non ermafrodita.

Il Pistacchio commestibile (Vera) può essere innestato anche su Lentisco ma non sono sicuro che possa sostituire il pistacchio maschio nella impollinazione o se lo sviluppo della pianta sia poi meno imponente che col portainnesto di Terebinto. In molti sconsigliano questo innesto in quanto il Lentisco è un semprevenrde a differenza del pistacchio e del terebinto, mentre un meno noto portainensto è l’UCB1 vale a dire un ibrido di Pistacia atlantica x P. integerrima sviluppato presso l’Università della California adatto a molte varietà di Pistacchio che come apparato radicale ha una migliore risposta ai terreni salini.

Per l’innesto di terebinti a pistacchio maschio la varietà più usata è quella denominata M10, mentre per l’innesto a femmina si sceglie tra la dozzina di varietà più tradizionali secondo l’uso che si farà del frutto. La varietà di pistacchio più diffusa in Italia è la Napoletana, detta anche “Bianca” o “Nostrale” e poi la Cappuccia, la Cerasola, l’Insolia, la Silvana, la Ragalna, la Radano, la Natalora, la Biancavilla, la Femminella e la Cappuccia, ma anche tra le nuove varietà straniere come: Kern, Red Aleppo e Larnaka.

I famosi pistacchi di Bronte (varietà Napoletana) sono tutti prodotti da campi spontanei di terebinto su vecchie colate di lava innestati poi sul posto a pistacchio, unendo le proprietà vigorose e rustiche della radice del terebinto al frutto pregiato del pistacchio sulla chioma. Oggi, se non si ha una colonia naturale già sviluppata di terebinti  su cui operare in campo l’innesto, si preferisce piantare il pistacchio già innestato su terebinto in vivaio in quanto l’attecchimento dell’innesto in campo è problematico. In rete trovate numerosi video sull’innesto, in genere su piccoli tronchi di terebinto giovane con la tecnica dello scudetto, molti spesso in spagnolo dove la produzione europea di pistacchio è molto alta.

Per chi vuole cimentarsi con la coltivazione del Pistacchio (visti anche i costi molto alti di un esemplare di pistacchio già innestato di non meno di tre anni, ideale per la dimora in campo, che oscilla dai 25 ai 50 euro) la coltivazione di nuove piantine di Terebinto diventa per l’appassionato interessante. Avendo poi disponibili in zona gemme o marze di pistacchio vera ci si può attrezzare per l’innesto.

L’innesto a scudetto o a T dovrebbe avvenire tra marzo-aprile (gemma vegetante) o agosto-settembre (gemma dormiente). La gemma a ramo è quella più piccola e appuntita, mentre quelle a fiore sono gonfie e rotonde. Meglio prenderla da un ramo di due anni e innestarla su un ramo giovane del terebinto quando la corteccia è ancora abbastanza elastica per l’innesto a scudetto. Si potrebbe fare anche a corona (in primavera) per diametro oltre i 4 cm ma in genere è meglio eseguire l’operazione di innesto su piante di terebinto giovani e ancora in vivaio in quanto in campo l’innesto, come già detto, è meno garantito. Ad attecchimento avvenuto si taglia il fusto sopra l’innesto e si lascia sviluppare il ramo dell’innesto. Il consiglio trovato in rete è di innestare sempre in basso a non più di 20 cm dal colletto, ma di tenere presente che se il primo innesto non va bene si potrebbe avere la necessità di scendere ancora più in basso.

Per il successivo innesto delle piantine di terebinto dei buoni video e altre istruzioni in  pdf si trovano cercando in rete i termini “pistacio budding” o “pistacio grafting“.

Chiariamo subito che oggi nessuno semina direttamente il pistacchio per via dell’apparato radicale poco vigoroso, come nessuno procede alla riproduzione della talea  del pistacchio in quanto, pare, non radichi mai per talea. Una ragione di procedere con questa riproduzione poco produttiva potrebbe essere quella di avere disponibili gemme o marze di pistacchio per ogni innesto successivo. In rete trovate pure video su come far germinare i semi di pistacchio (quelli non tostai e non salati) col noto sistema “Scottex” o crescere piantine di pistacchio (Vera) senza particolare difficoltà.

A livello scientifico si trovano poche indicazioni su come procedere per produrre dei portainnesti di terebinto partendo dai semi.

E’ difficile trovare prima di tutto informazioni chiare sulla germinabilità dei semi del terebinto con indicazioni spesso contraddittorie circa tempi e modi. Quello che si evince dalle ricerche in rete è che il seme di terebinto è duro a venir fuori per via della durezza dell’endocarpo. Un po come per i pistacchi credo che i segreti dei produttori e dei vivaisti abbia giocato a nascondere molte informazioni, ma che poi la semina e la produzione di piantine sia abbastanza facile se i vivai di tutta Italia producono portainnesti di terebinto e innesti di pistacchio su terebinto in quantità.

Nel Manuale Anpa – PROPAGAZIONE PER SEME DI ALBERI E ARBUSTI DELLA FLORA MEDITERRANEA – Edito da Beti Piotto e Anna Di Noi – Settore Aree Naturali e Protette – Dipartimento Prevenzione e Risanamento Ambientali troviamo alcune indicazioni sulle caratteristiche dei semi e un rimando ad alcune analogie con quelli del Lentisco.

Il Lentisco pare meno germinativo con semi di dimensioni ancora più piccole. Riporto integralmente le indicazioni del Manuale ARPA per il Lentisco. – ” 12.5.67. Pistacia lentiscus L. (Lentisco) (Anacardiaceae) – Facoltà germinativa: molto varia, 40-80% –  Numero di semi per Kg: 30.000-85.000 – I semi sono ricchi di sostanze oleose, pertanto la qualità del seme, compresa la facoltà germinativa, potrebbe perdersi in tempi relativamente brevi. In realtà, non ci sono studi approfonditi sulle condizioni richieste per una buona e lunga conservazione della semente. E’ bene rimuovere la polpa subito dopo la raccolta, completando l’operazione con lavaggi che consentono l’eliminazione dei semi galleggianti (vani). Nel genere Pistacia l’epicarpo può inibire la germinazione, mentre l’endocarpo può ridurre la velocità di imbibizione. Nel caso di P. lentiscus, l’endocarpo rappresenta, effettivamente, una barriera in quanto rallenta l’assorbimento d’acqua e, di conseguenza, il processo germinativo. Tuttavia l’ostacolo è superabile tramite scarificazione meccanica. Alternativamente si può ricorrere alla vernalizzazione, che agisce intaccando l’integrità dei tegumenti piuttosto che rimuovendo eventuali dormienze fisiologiche. Generalmente si esegue la semina autunnale, subito dopo la raccolta.

E’consigliata l’immersione del seme in acqua per 2-3 ore prima della semina. Per le semine primaverili è consigliabile la scarificazione meccanica del seme oppure la vernalizzazione per 2-3 settimane. In natura, la disseminazione avviene ad opera dell’avifauna. La colonizzazione del territorio è, inoltre, favorita dalla presenza di alberi ed arbusti che da una parte consentono la sosta degli uccelli e dall’altra creano un microambiente favorevole durante le prime fasi dello sviluppo dei semenzali. Recentemente sono stati condotti studi sulla variabilità di alcuni caratteri in popolazioni spontanee di lentisco in Sardegna. Tra gli ecotipi sono state evidenziate forti differenze in relazione all’entità della fruttificazione, alla percentuale di ovari abortiti, alla facoltà germinativa ed al tempo medio di germinazione. E’ stata riscontrata una correlazione positiva, peraltro applicabile alla maggior parte delle specie, tra l’abbondanza della fruttificazione e l’alta germinabilità dei semi. Tra le specie mediterranee, il lentisco è considerato di grande importanza per la sua larga distribuzione, la sua grande variabilità ecofisiologica e la sua alta capacità di adattamento, di sopravvivenza e di protezione del suolo. E’ impiegato come portainnesto di Pistacia vera “

Venendo ai semi del terebinto, a fine maturazione si presentano ancora attaccati alla pianta con diverse colorazioni.

I semi fertili del terebinto sono quelli che alla fine della maturazione virano sul blu. Essendo una pianta eterozigote non sapremo con certezza se dalla impollinazione col polline maschile vi sarà dentro l’embrione di una futura piantina maschio o femmina.

Ricapitolando gli alberi maschio non producono ne frutto ne seme, mentre gli alberi femmine producono frutto e seme che a sua volta può risultare vuoto o fertile (50% maschio 50% femmina).

Mentre i fiori sono presenti su entrambe le piante dei due sessi, i frutti compariranno solo sul terebinto femmina e questo è anche uno dei pochi modi di riconoscere il sesso della pianta dopo la fioritura nel periodo estivo-autunnale.

Conoscere il sistema di fioritura e impolliinazione aiuta a coltivarne gli esemplari sia di terebinto che in futuro anche di pistacchio. Come per il pistacchio esiste un rapporto minimo di presenza di esemplari maschili e femminili che varia da 1 a 8 a 1 a 15. L’impollinazione avviene per vento e le finestre di impollinazione sono molto ristrette. Il maschio è fertile per pochi giorni mentre le femmine sono ricettive qualche giorno in più. Chi produce pistacchio in modo commerciale si aiuta con l’impollinazione manuale scuotendo rami pieni di polline sui fiori delle piante femminili cos’ come si fa per altre piante dioiche.

Nel caso si utilizzi il terebinto come impollinatore del pistacchio di questo se ne può riconoscere il sesso solo dal fiore (e più avanti dall’assenza del frutto).

I fiori sono dioici (stami e pistilli su piante separate), privi della corolla, hanno carattere lasso all’apice dei rami e sono formati da grappoli composti in una pannocchia piramidale, a sua volta ramosa, di colore rossastro, con rachide assottigliata verso l’alto e pedicelli più corti del fiore.

I fiori maschili hanno il calice diviso in 5 lacinie lanceolate e acute, 5 stami opposti ai sepali più lunghi del calice, filamenti cortissimi e antere grosse; quelli femminili hanno 3 carpelli saldati, supero rosso con 3 stili, e tre stimmi. Sbocciano tra aprile e luglio. Si hanno quindi alberi con solo fiori maschili (pianta maschio) e alberi con solo fiori femminili (piante femminili).

Nella riproduzione da seme (gamica) basterà un sufficiente numero di semi perché la statistica produca piantine dei due sessi che servano poi alla colonizzazione di un areale. Nel caso di innesto in vivaio il sesso di partenza della piantina portainnesto è poco importante.

Risulta, ma non trovo conferma, che su uno stesso portainnesto di terebinto sia impossibile innestare  rami dei due sessi per avere così una pianta autoimpollinante. Risulta invece che sia stata individuata in Spagna una nuova varietà di piastacchio autofertile.

Raccolta in natura

Le piantine possono essere raccolte in natura anche se con estrema difficoltà per via del notevole apparato radicale che si incunea dentro fessure rocciose e presenta scarse radichette ad un’altezza che assicuri un buon trapianto.

La piantina di un anno che presenta un tronco filiforme dello spessore di pochi millimetri possiede nel terreno un fittone di lunghezza quasi doppia rispetto alla parte emersa con scarse o nulle radichette laterali. Per avere un buon trapianto va colto per intero e quindi tale operazione risulta difficile se la pianta non nasce in un ammasso pietroso facilmente smontabile. Le poche foglie che spuntano nella piantina appena sviluppata, che sono presenti con mesi di anticipo rispetto alla pianta adulta, sono piuttosto delicate e il trapianto dovrebbe avvenire con una protezione in plastica che assicuri un buon livello di umidità o tendono a seccare quasi subito.

Il tentativo di estirpare senza nessuna preacuzione da sempre una rottura poco sotto il colletto. L’esemplare nella foto presumibilmente già di tre anni, benché si manifestasse una certa cedevolezza del terreno allo strappo, si è rotto con uno scarso resto del fittone e una piccola radichetta.

Trattata con ormone radicante è stata trapiantata in condizioni di massima umidità. Vedremo tra un paio di settimane l’esito.

Alcuni  raccomandano di procurarsi polloni distanti dal ceppo che abbiano già una certa radicazione. Sradicare una pianta adulta anche di pochi anni è piuttosto complesso in quanto il fittone è di diametro a volta superiore al tronco stesso e si porta in profondità a cercare zone di umido come un po si comporta il nostro fico comune.

Non ho riscontri, ma se si comporta come il pistacchio difficilmente si riproduce per talea.

Nella seconda parte di questo articolo scriverà alcune riflessioni sul tentativo di produrre piantine da 100 semi acquistati in rete da un vivaio di Latina: http://www.vivaimdb.it  che ha un comodo negozio on line su Ebay e anche sul proprio sito. L’azienda, chiamata Mola della Badia, produce anche piantine di terebinto in vaso da 10 cm di due anni al costo di 6 euro l’una oltre i costi di spedizione.

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