Il mio San Vito – 22 – 23 – 26 – il Campo di pallone
Io lo ricordo ancora con le porte da scirocco a tramontana, senza muri, con i pali e le traverse in legno e senza reti, nè intorno al campo nè alle porte. Una spianata di tufo, però con tutte le misure apposto. Ci giocavano la San Giorgio e la Ortelle, con tanto di derby cittadino. Le tribune erano un piccolo rialzo della roccia non livellata grosso modo poco fuori il centro campo. Mia madre mi racconta che per farlo seppellirono una vora naturale più grande di quella gemella usata per buttarci la spazzatura un centinaio di metri più a sud. Era un matrimonio naturale che un largo spazio per una fiera-mercato diventasse molto presto un campo di pallone.
Non ricordo di averci mai giocato. Forse non c’erano ancora gli economici palloni di plastica e forse ero troppo piccolo per dare un calcio al pallone di cuoio dei grandi. Intorno sul lato di ponente (23) c’erano ancora le vecchie rocce col timo, piccole buche in cui bruciavamo vecchi scarponi e i soliti grilli. Sul lato opposto (26) un angolo morto sempre pieno di roba di scarto.
Fatto sta che un giorno lo spettacolo fu vedere mio zio Lucio, un giovane esagerato nel fisico e nella bravate, di ruolo portiere, rompere con una mazza la base di cemento dei pali. Da lì a qualche mese arrivarono le ruspe e il campo cambiò direzione, ebbe una doppia recinzione in rete e in muratura, una biglietteria e gli spogliatoi. Le norme per giocare in terza categoria erano cambiate e ci si dovette adeguare, regole che non tenevano in alcun conto i rischi dei fuori campo nell’orto di un sempre più incazzato Bobby Solo.
Erano anni che la gente pagava per vedere la terza categoria, gli anni del boom demografico, con una squadra e riserve in ogni paesino.
Ci hanno giocato in tanti su quel campo, per anni anche i paesi vicini come le squadre del Vignacastrisi e del Castro. I più anziani ricordano giocare su quel campo anche il Maglie e il Casarano. Era la storia del calcio salentino anteguerra con in campo il giovane Ennio Rizzelli e per capitano l’ancora studente Salvatore “Totò Schiuma” Maggio. Il primo rimase come storico presidente di tante squadre di calcio dilettantistiche o amatoriali, il secondo sparì nell’insegnamento.
Il tufo e la sansa con cui era fatto il fondo, piano piano, presero strade diverse. La sansa preferì seguire il vento di tramontana accumulandosi da un lato, il tufo volò in cielo lsciando sole le pietre del sottofondo. Comparve agli angoli anche una forma vegetale di inaspettate erbe infestanti.
Di fatti in campo e fuori ne potremmo raccontare tanti: il tifo, gli sfottò, i pittoreschi presidenti, i campioni e le schiappe, i finali di partita con qualcuno che insisteva a parlare a quattr’occhi con l’arbitro. Fu una fabbrica di soprannomi.
Gli amministratori, stranamente, insistevano per chiamarlo Impianto Sportivo. Forse, perchè sul lato nord ci avevano tracciato l’impronta di due campi, uno di pallavolo e uno di pallacanestro. Quello di pallavolo durò poco, poi qualcuno portò via la rete. Di quello di pallacanestro restarono i tralicci in ferro dei canestri, mai usati e arrugginiti, che qualche buontempone, anni dopo notte tempo, trasportò in piazza davanti al Municipio per dargli una morte gloriosa dopo tutti quegli anni di inutilità.
Su quel lato ci fecero pure una gradinata di muratura di pochi scalini che rimasero deserti per anni a causa di un fantomatico collaudo che non arrivava mai.
Una nottata, il muro dietro gli Impianti Sportivi, sfottuto dalla tramontana, decise di arrendersi e si stese per terra. Lo rialzarono abbastanza subito: erano gli anni che le società sportive ricavavano qualcosa dai biglietti venduti agli spettatori e lo spazio indiscreto fu subito chiuso.
L’anno che costruirono un nuovo servizio igienico affianco agli spogliatoi e sopra ci realizzarono una vasca di riserva per l’acqua, ci andavamo ogni estate a farci il bagno in cinque-sei per volta.
Pomeriggi e domeniche sempre uguali hanno accompagnato la nostra giovinezza, tutto sembrava immutabile, tranne la fine della terza categoria, la competizione ufficiale della FIGC che cominciò a costare troppo per un paese che piano piano non amava più il calcio distratto dai nuovi giochi nei bar, i motorini e le auto. Erano cominciati gli anni dei tornei cittadini e le amichevoli.
Un pomeriggio, durante una di queste partite, venne giù tutto. Come in un film al rallentatore. Coi giocatori col culo al vento e la faccia al riparo dalla terra ficcante tutti viddero il muro di levante cappottarsi dietro la porta e seppellire una coppia di fidanzati ferma in auto alle sue spalle. Iniziarono così gli anni 80, quelli del Drive In con la gente in macchina al caldo e al comodo a vedere le partite dove prima c’era un muro di troppo.
Poi, dopo un po, come una malattia, venne giù il muro di scirocco e arrivò l’ordinanza del Sindaco che invitava ad andare a portarsi via tutti i conci crollati, e pure quelli in piedi.
Iniziarono gli anni 90, quelli della Glasnost, la trasparenza. Si ritornò a vedere da ogni parte ogni cosa, come se San Vito avesse sputato quei muri inutili e mai amati.
Il mio San Vito 1-2-3 – La Madonna della Grotta
Il mio San Vito 4-5-6-7 – Il Tabacco
Il mio San Vito – 8-9-10-11 – Le spine e i grilli.
Il mio San Vito – 12 – Le cicureddhre
Il mio San Vito – 13 – 14 – 15 – La Cappella
Il mio San Vito – 16 – 17 – La spianata
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