Il Canalone di Castro
Lama Canali, Lama Masseria San Nicola, Canali, Canalone, tanti i nomi per indicare l’ampia depressione che taglia l’altopiano della costa di Castro rompendo la monotonia degli alti versanti sull’Adriatico.
Il Canalone è uno dei tanti solchi, che originati da imponenti fenomeni geologici, tagliano trasversalmente la costa assumendo un caratteristico aspetto a canale. E’ facile osservarli lungo tutta la costa, per esempio a Badisco, all’Acquaviva, Tricase, Ciolo, ecc..
Quello di Castro è il più importante per complessità e continuità dell’insediamento umano. Dalla preistoria ai giorni nostri, infatti, il versante di levante è stato sempre frequentato in ogni fase della civiltà. Dagli abitanti della Romanelli (ben più arcaici di quelli che abitarono le grotte di Badisco), ai primi utilizzatori del bronzo, e poi i colonizzatori cretesi e greci, le popolazioni indigene dei Messapi, su questa sponda ogni età dell’uomo ha lasciato un segno.
Col termine Canalone, difatti, si dovrebbe comprendere un intero sistema naturalistico e di insediamento umano che comprende livelli a loro volta notissimi e singolarmente di eccelenza. Le fortificazioni arcaiche e medievali dell’acropoli dell’attuale castro, i luoghi virgiliani dell’eroe Enea, l’insediamento rupestre e poi quello balneare di Castromarina, il porto romano e quello moderno, il parco naturalistico e il bosco Scarra e l’alveo stesso di scorrimento delle acque piovane
Lungo la sponda di levante, che offriva aspetti insediativi notevoli, si sono stabiliti Messapi, forse Tarantini, Romani, Normanni, Spagnoli e accaldati bagnanti leccesi.
Una rupe altissima, forte alla difesa, una sponda di roccia durissima, ma anche tenera da cavare, un porto per prendere confidenza col mare, ogni civiltà ha trovato un modo per restare ancorata a questa pietra.
Il canalone di Castro è lungo quasi esattamente due chilometri. Parte dal Porto Vecchio e si sviluppa in direzione nord-ovest fino ai limiti della periferia di Vignacastrisi. Almeno fino a questo punto è facile riconoscere la depressione e il solco della acque che scorrono lungo il fondo.
Il canale è persorso solo in occasione di piogge che raccolgono i drenaggi di un più ampio bacino di circa 278 ettari, di cui circa 65 costituiti dal centro abitato di Vignacastrisi. Altri 70 ettari si aggiungono ai 278 ettari con la superficie del centro urbano di Castro alta che sversa le acque in prossimità dell’incrocio del vecchio Ponte del Bosco. Altri 10 ettari sono costituiti dagli abitati di Castro Marina e dalle Frasciule. Calcoli prudenti svolti in queste settimane di progettazioni idrauliche, stimano un passaggio di circa 25 metri cubi di acqua al secondo all’incrocio del Bosco e a mare di almeno 31 metri cubi. Sono previsioni di pioggia che hanno probabilità di verificarsi ogni duecento anni. Una pioggia come quella dell’ultima settimana di ottobre 2009 diciamo che ne ha prodotti circa la metà.
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Nel secolo scorso l’uomo ha fatto il grande balzo, saltando sull’altra sponda. Dapprima con un piccolo ponticello a servizio della palazzina Stasi (in pratica il pavimento della vecchia pescheria), poi con una copertura sulla piccola piazzetta davanti alla pescheria Ciullo. Questo ha consentito l’edificazione delle prime abitazioni sull’altra sponda prima ancora che venisse costruito un vero e proprio ponte carrozzabile. Sono state costruite le abitazioni dell’attuale Via Manzoni tra cui la bella Villa Marati. Per attraversare la gola si risaliva l’attuale scalinata di Via Paolo Emilio Stasi e un piccolo viottolo portava dall’altra parte. Qui i pescatori avevano perfettamente lisciato le rocce per avere ampi piazzali (spannituri) su cui lasciare asciugare le reti (ancora di fibra naturale) che rischiavano di imputridire nonostante i continui trattamenti impermeabilizzanti e sterilizzanti.
Per essere più precisi con le date, le trasformazioni nel punto più depresso del Canalone, ovvero il Porto e l’attuale Piazza Dante, cominciarono solo nel primo dopoguerra. Alcuni racconti ottocenteschi ci raccontano di un porto e di alcune grotte ipogee (si racconta della costruzione di un vascello all’interno di una di esse). Parliamo ancora del vecchio porto (detto dei Ciucci) che, benchè difeso da un tenace scoglio calcareo, restava insicuro e modestissimo per estensione della superficie di acqua sicura e di terra.
Sappiamo che l’On. Codacci-Pisanelli perorò più volte un’opera a servizio dei pescatori nei primi anni del novecento. Nella sua attività di parlamentare ottenne solo fondi per il porto di Tricase e soltanto la progettazione da parte degli uffici del Genio Civile di quello di Castro. Sarebbe interessante ricercarne i documenti se ancora conservati. Dovrebbero essere del 1915 e ben definiti in quanto si arrivò a consegnarne l’appalto all’impresa esecutrice (ma poi non avviati per l’incombente impegno bellico).
Nel 1921 la vecchia scogliera naturale ebbe grossi danni e il ricovero delle barche (ancora a vela e a remi) divenne ancor più problematico. Da tale data e fino al 1926, pertanto, si attese alla costruzione di un molo integrativo in cemento che rinforzasse la roccia naturale e chiudesse in modo più efficace il lato indifeso verso l’attuale traforo. Fu lasciato il solo varco di accesso (e di scolo) tra il grosso scoglio e la Punta Perchie. L’opera è ancora perfettamente conservata e funzionale.
Sotto la cura di Luigi Schifano (seduto a sinistra), ex combattente, invalido e decorato di guerra, divenuto un esponente politico locale dell’ormai affermato partito fascista e amministratore del Comune di Diso con diverse deleghe, il porto ebbe una prima sistemazione organica nel 1926. Si adeguò in parte la strada di discesa da via Santuario fini ai limitati terrazzamenti di Piazza Dante, si allargarono, appunto, i terrazzamenti di Piazza Dante e si livellarono fino a coprire un primo livello di grotte ancora visibili in alcune foto di inizio secolo. Si sistemò l’attuale via Scalo delle barche costruendo la caratteristica rotonda in pietra a forma di torre medievale, oltreché i lavori in cemento a rinforzo della diga naturale e un ampliamento del piazzale di alaggio.
A compimento di tutte queste opere, nell’anno successivo (1927) si inaugurò un piccolo monumento (un faro votivo) in onore degli otto marinai caduti nella prima guerra che è ancora perfettamente conservato.
I lavori furono finanziati in vario modo. Alcuni risparmi furono ottenuti dai lavori di costruzione (sistemazione di un nuovo tracciato) della provinciale Vignacastrisi-Castro nel 1922, per circa 14.000 lire, fe vennero dirottati alla costruzione dell’attuale discesa di Via Scalo delle barche. Furono gli stessi pescatori di Castro a lavorare gratis per la realizzazione della strada, purchè i risparmi fossero investiti in una prima decorosa sistemazione del porto. I lavori di accesso, la costruzione della diga in cemento e un piccolo ampliamento dello scalo furono conclusi tutti nel 1926.
Un pastello del Casciaro (datato sul retro al 1930) riprende il porticciolo e la caratteristica torretta.
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La sistemazione del primo settore di levante di Piazza Dante (come già detto, allargato e livellato nel corso dei lavori di sistemazione della via di accesso al porto) allargò di molto gli spazi urbanistici della colonia marina che dopo gli anni dell’Unità di’Italia si stava strutturando nell’immediatezza del porto, ma sopratutto sopra le vicine “tagliate” , nell’area della Grotta del conte, più adatta per la balneazione da parte di donne, anziani e gente poco avvezza all’arte natatoria.
Fino al 1957 l’accesso alle “tagliate” (l’attuale porto moderno) era possibile soltanto dalla Grotta del Conte a mezzo di una stretta scaletta tagliata nel carparo. Solo nel ’57 si gettarono i muraglioni su cui poi per molti anni sostarono i famosi “Camerini”.
Alcuni lavoratori sono ripresi durante i lavori di casseratura dei getti nel 1957.
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Prima ancora di Leuca e Santa Maria al Bagno, dopo i lavori del ’26, Castromarina viene dotata di illuminazione pubblica. Sono lampioni a gas di petrolio, il cui ultimo esemplare al termine di Rampa Italia è stato rimosso non da molto tempo. L’isteria di fare tutto bello e pulito, purtroppo, cancella troppe cose. Con un contributo di 800 lire assicurato dai signori villeggianti, e altre disponibilità, Luigi Schifano, ormai Podestà, illumina tutta la piccola marina.
In questa foto (sicuramente anteriore al 1931) un bel lampione è affianco alla palazzina Stasi
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Circa i tempi di realizzazione del primo ponte sui due versanti le date si fanno più incerte. Non conosciamo la data del primo collegamento tra le due sponde. Probabilmente, per qualche singolarità geologica, nel punto dell’attuale scalinata Stasi doveva esserci un possibile attraversamento (in pietra o di fortuna). A questo primo collegamento si affiancò il ponte che sospende la vecchia pescheria e poi la parte di canale fino all’attuale pescheria Ciullo. Come già accennato, queste opere permisero lo sviluppo edilizio dell’attuale via Manzoni. L’opera originale in muratura è ancora conservata sotto la scalinata e la vecchia pescheria, mentre il tratto della piazzetta è stato rifatto in cls armato negli anni ’70.
In tempi successivi fu realizzato un ponte vero e proprio. Probabilmente con la sistemazione della strada litoranea per Tricase. E’ chiaro che un’opera così impegnativa (e soprattutto carrozzabile) non poteva portare nel nulla. Era un ponte a tre arcate, in pietra locale durissima, con la campata centrale più ampia e ancora perfettamente visibile (all’interno dell’attuale galleria) nonostante i successivi lavori di livellamento della gola per la formazione della Piazza Dante. Un po come il ponte di Porto Badisco che consente ancora oggi di attraversare la gola di Badisco lungo la litoranea per Otranto. Non conosciamo la data esatta di costruzione del ponte.
Di questo ponte un po stretto e al termine di una lunga discesa (Via Vittorio Veneto) si raccontano molte disavventure.
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Sul finire del 1954 (una targa in pietra con la data era sul prospetto dei vecchi servizi igienici sulla discesa dello scalo) ci si risolse a interrare completamente tutto il tratto a valle e a monte del ponte dallo sbocco sul mare fino all’ingresso della pescheria Ciullo. Un’opera monumentale, con altezze dettate più che da ragioni idrauliche dalla necessità di raccordarsi alle desiderate quote della nuova ampia Piazza. Dopo aver allargato quanto più possibile l’attuale Piazza Dante sul lato di levante e aver strutturato una nuova piazza sul lato di ponente (con la caratteristica ampia semirotonda e i terrazzini sul lato mare) si decise di fondere i due ampi spazi togliendo la piccola strettoia del ponte.
Nella foto della sezione finale di sbocco si riconosce a destra la torretta semicircolare onumentale già realizzata coi risparmi del 1922, poi il tunnel del ’54 e sulla sinistra altri ampliamenti in parte già esistenti in parte completati successivamente alla copertura.
La foto panoramica seguente è una rara foto degli ultimi anni di vita del ponte.
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I cambi di direzione dell’ultimo tratto furono risolti con una serie di semplici archetti traslati tra loro, così come è stato fatto, in piccolo, per la volta del ponticello che passa sotto la strada per Vignacastrisi che raccoglie le acque che provengono dalla strada per Marittima. La medesima tecnica (e la fattura dei materiali) fa pensare ad uno stesso progetto o una comune maestranza.
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Ai lavori di costruzione pare che abbiano lavorato maestranze di Castro tra cui Maestro Panaro Salvatore. Mio suocero, Giuseppe Fersini, giovane muratore era addetto al taglio (a mano) dei conci.
Altri lavori furono poi eseguiti successivamente per allargare lo spazio della piazza creando nuove piazzole e soprattutto tagliando il banco di roccia dove poi per anni fu sistemato il distributore di benzina e la più comoda discesa di Via Panoramica.
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Nel 1999 si cominciò a progettare e poi a realizzare tutto l’interramento dello scolo delle acque fino al Ponte del Bosco. Toponimo, quest’ultimo, che va perdendosi in quanto proprio con questi lavori, il vecchio ponticello è stato assorbito in un generale livellamento che ha consentito la realizzazione dell’ampio incrocio canalizzato. Da un po di tempo il nome di questo incrocio è in effetti un po ballerino.
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Fino agli inizi del novecento, quindi, le strade di collegamento al resto del mondo partivano tutte per la direzione nord: la vecchia Appia per Otranto e probabilmente un sentiero meno importante lungo il solco del Canalone stesso. Da qui si svoltava per Marittima nel punto in cui era apposto un menhir e si svolgeva la vecchia fiera o si continuava per Vignacastrisi lungo un percorso di ambienti rupestri favoriti dalla tenera roccia.
Tutto il versante di levante, dicevamo, è stato un importante sistema rupeste. Sepolture dell’età del bronzo sono testimoniate in prossimità del Bar La Chianca a conferma di una frequentazione ben più remota delle recenti grotte dei pescatori. Le sponde di tenera roccia calcarenitica (carparo) della Grotta del Conte o della Via Di Mezzo furono le cave per l’estrazione dei conci ciclopici con cui si cintò la fortezza della città alta in epoca messapica. Si racconta che i Romani strutturarono il primo porto. Virgilio, probabilmente lo conobbe, gli piacque e ne fece la location dello sbarco di Enea.
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Il versante di cui parliamo è imponente. Mentre lungo la linea di scolo scende in due chilometri da 85 metri sul livello del mare a zero, il versante di levante in quegli stessi metri, verso mare, addirittura risale fino a oltre 100 metri.
Su questo prospetto naturale si è aggrappato l’uomo diviso tra l’amore per la terra e quello per il mare.
Alcuni studiosi propendono per una frequentazione di questa sponda quasi in modo continuo. Probabilmente, dopo gli insediamenti preistorici, ci furono quelli dell’alto medioevo, quando le scorrerie dei barbari consigliavano l’abbandono dei centri abitati più in vista o posti sulle strade principali battute da bande di saccheggiatori.
Oggi tutta la sponda est e buona parte di quella ovest, per tutta la parte bassa è occupata dall’abitato di Castro e di Castro Marina.
I primi 600 metri il fondo del Canalone sono stati ricoperti da una galleria in pietra e in calcestruzzo. Altri 500 sono stati sistemati con un canale scoperto, il resto del percorso delle acque piovane nel territorio del Comune di Ortelle è ancora allo stato semi naturale.
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Sponde in roccia, terrazzamenti, uliveti e un lunghissimo filare di lecci che corre sulle due sponde dell’alveo che ospita un gagliardo ruscelletto di pioggia.
Per l’uomo moderno, una passeggiata da valle a monte appare quasi un’avventura. A volte sopraggiunge lo scoramento e la voglia di abbandonare il percorso più fitto per quello più in alto. Alcuni piccoli canali (o meglio lame) si innestano a quello principale intrigando l’aspetto dei luoghi e confondendo il viaggiatore. Stupisce, inoltre, l’immane opera dell’uomo a terrazzare con muri e terre fertili la nuda roccia delle sponde per ricavare un minimo di sostentamento alimentare. Fino agli anni cinquanta tutti i fondi, piccoli o grandi, erano curati e puliti. Oggi, tolti pochi casi di accanimento per puro svago, l’area più impervia è in piena rinaturalizzazione.
Vi sopravvivono ancora le volpi e i tassi. Da alcuni anni è stato vincolato a Parco Regionale.
Impegni professionali mi hanno portato a conoscerlo e a misurarlo passo dopo passo. Non solo, ma anche a esplorare tutto l’intero bacino alla ricerca dei vecchi percorsi dell’acqua, i vecchi drenaggi, gli inghiottitoi naturali. Anche dell’antico pozzo assorbente di Capriglia di cui parlerò in nuovo post ad hoc.
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